Con Patois s’intendono tutte quelle lingue non ufficiali, utilizzate in Africa, che rappresentano il risultato del processo di contaminazione sviluppatosi negli anni a seguito di migrazioni, colonialismo e relazioni commerciali con i paesi non-africani. Il reportage fotografico di Camilla rappresenta esattamente questo: un racconto per immagini del territorio sub-sahariano “contaminato” dallo sguardo dei suoi occhi occidentali. Camilla ci apre il suo punto di vista sul presente attraverso il piccolo angolo della quotidianità, rendendo la grandezza della storia nei minuscoli dettagli di una vita semplice e controversa.
Il mio nome è Cristell, indosso abiti stanchi.
Africana d’Africa centrale, camerunese d’origine.
Ho trentaquattro anni, quattro figli di tre padri diversi.
Sono tutti partiti.
Lavoro al Carrefour Madellon
dalle ore 18 alle ore 24.
Dalle ore 24 alle ore 9.
Dalle ore 9 alle ore 15.
Ho un banco di pesci alla griglia,
1000 FCA più Manioc et Piment.
Non ho mai visto il mare.
Attendo clienti.
Attendo pesci scongelarsi.
Attendo immobile come il cavo sopra alla mia testa.
Attendo di fermarmi, come il clacson che suona compulsivamente,
Il portantino sottopagato.
Il carbone su cui griglio,
Sono il fuoco che lo anima e l’acqua che lo spegne.
Il mio nome è Cristell questa è la mia vita.
Questo è quello che ti ho lasciato immaginare.
Mi aggiro per Bafoussam. Cerco Lucky Luc e le sue avventure qui all’Ovest.
Amo l’aria confusa e appena sporcata dai camion del mattino,
Quell’aria che scaccia il sonno mentre marci sul fango appena battuto.
Le mie tracce sono dietro ogni casa d’argilla consumata dalle piogge della stagione.
Mi dicono che ha aperto un nuovo bar nel quartiere Akwa,
Dove la strada non è ancora asfaltata.
Anche qui, in fondo, c’è negligenza.
Ma c’è umanità, confusione e leggerezza.
Smarrita mai la strada, qui a Bafoussam, dove i quartieri si assomigliano
e non hai paura di indossare le tue scarpe migliori
anche se sai che, come te, torneranno a casa
stanche e impolverate.
Al mattino, come tutti, aspetto il Mototaxi al Carrefour Total.
Sono una giovane Bamileke di ventotto anni.
Mi chiamo Catalina e non sono ancora sposata: una vera eresia per il mio mondo.
Questo è il confine che devo ancora valicare nella città che esiste.
Convulsa e ostinata.
Qui il mondo ha l’ebrezza di un vestito corto e un bicchiere di vino rosso alle undici del mattino.
Ha un sobbalzo.
«È la comunità il problema!», mi dice Maxwell senza giustificarsi.
Maxwell è un taxista della città di Mbouda. È un’ottima guida.
Ha la faccia scolpita da piccole scarnificazioni orizzontali.
Siamo soliti incontrarci all’ingresso del Laboratoire Bethanie,
dove ha la sua postazione fissa e attende i suoi clienti.
È giovedì 22 agosto 2019. Sono le 10 del mattino in questa parte di mondo.
Il vento modifica le espressioni umane, le boutique e la bandiera nazionale è alta.
Maxwell non c’è.
Entro in clinica, li tutti lo conoscono. Chiedo di lui ma nessuno sa rispondere.
Sono le ore 12 quando Diderot ansimante spalanca la porta.
Ha una ferita pulsante sul viso e ci racconta la sua storia.
Maxwell ha incidentato. Il taxi è distrutto.
La gendarmerie lo ha scortato al commissariato.
Per Maxwell la faccenda si complica. Come tanti altri taxisti, il taxi non è di suo proprietà.
Il patron richiede un risarcimento salato. Maxwell viene arrestato.
Sono le h 13 quando Maxwell diventa ufficialmente un detenuto della Prigione Principale di Mbouda.
È la sua prima volta in prigione.
Non possiede più niente. Non è più nessuno.
Indossa la stessa maschera che è stata prestata agli altri detenuti.
Maxwell non è più Maxwell.
Qui alla clinica il tempo non si ferma.
I bambini continuano a giocare.
Gli uomini continuano ad attendere.
Sono Libertè, mi muovo con circospezione e diffidenza.
Domani potrebbe succedere a me.
Francia e Germania fanno il pediluvio.
L’alta marea ha distrutto le case Bianche in riva al mare.
A Kribi l’oceano è caldo e la sabbia è in vendita.
Foto in evidenza: Homme de Poissonerie.
Tutte le foto sono di Camilla Gramegna, che ringraziamo per la condivisione.