Salta “Tante Belle Cose”, il festival di Aware, tra ostacoli e pregiudizi. Storie di ordinaria repressione ai tempi del Covid-19, tra tensioni e attenzioni spropositate nei confronti di un evento privato, rispettoso, sicuro e dall’incontestabile valore culturale e sociale. Ma gioia e piacere saranno sempre parte fondante del nostro attivismo e orizzonte.
Qual è il valore della cultura oggi, ai tempi del Covid-19? Evidentemente nullo, per qualcuno. Sono giorni che ci rigiriamo tra le mani l’ansia e l’amarezza di aver dovuto rinunciare a dar vita ad un piccolo spazio di consapevolezza e resistenza nel cuore del nostro Abruzzo, sognato e rincorso in queste settimane con gioia e dedizione, e con la visione che fin dall’inizio ha mosso i nostri passi: provare a realizzare qualcosa di bello e significativo sul nostro territorio. Qualcosa che unisse e ripristinasse occasioni di incontro, scambio, riflessione e puro piacere di stare insieme, con attenzione e rispetto della difficile situazione che stiamo affrontando per via del Coronavirus, certo, ma senza dover rinunciare a priori a momenti di condivisione e socialità. E invece le “Tante Belle Cose” sono venute meno, stavolta: a poco meno di 24 h, ci siamo trovati costrett* ad annullare tutto a causa di pregiudizi e logiche che, in tutta onestà, ci prendiamo la libertà di definire repressive e prive di fondatezza, con un accanimento che appare del tutto sproporzionato rispetto al tipo di evento che avrebbe avuto luogo.
In quanto collettivo di promozione sociale e culturale, ma soprattutto giovani impegnat* sul territorio, abbiamo accolto con sconcerto la notizia di una segnalazione partita dalla questura per “rave abusivo”.
Ma andiamo per ordine. Innanzitutto qualche dovuta specificazione. “Tante Belle Cose – Vol. Paura”, questo il nome scelto per la giornata che si sarebbe dovuta tenere ieri 3 ottobre presso il Lago Goldfish di Rosciano (PE), sarebbe stato un appuntamento pensato per essere inclusivo e aperto a tutt*: giovani, anziani, bambin*, famiglie, in pieno spirito Aware. Per ragionare insieme sul tema della “paura”, ma anche per provare a sfidarla, in un momento storico e sociale che sembra privilegiare questa emozione in tutti gli spazi e discorsi pubblici e privati – e l’abbiamo visto! – con noi ci sarebbero stat* ospiti di tutto rispetto, conosciut* e stimat* nella nostra provincia. Da Luca Fortunato, responsabile della casa di accoglienza Capanna di Betlemme di Chieti a Giovanni Di Iacovo, consigliere comunale di Pescara, attivista e scrittore, fino al Laboratorio Left di Chieti-Pescara. E poi ancora lo street-artist Beppe Mincone, Cristina Baldassarre e Monica Verì, con un workshop, rispettivamente, di teatro e yoga, per concludere infine con un momento musicale, insieme a band e artisti, per la quasi totalità “made in Abruzzo”. Alleghiamo programma qui.
https://www.facebook.com/AwareBellezzaResistente/photos/gm.1315569522129144/2745373359041237/
Insomma, non proprio quello che si direbbe un rave abusivo.
Per di più, ci siamo chiesti il perché di tanta attenzione nei confronti di quello che si configurerebbe a tutti gli effetti come “evento privato” a numero chiuso. Come da normativa, l’evento sarebbe stato di natura puramente sporadica, così come la sua location, il Lago Goldfish, il cui gestore è stato addirittura sottoposto a controllo preventivo e poi convocato nella mattinata di ieri in questura a Pescara. Non capiamo i motivi di tale accanimento. L’evento avrebbe previsto un pagamento all’ingresso di un contributo liberale consigliato, unicamente a scopo di recuperare le spese per la sua organizzazione, che comprendono per altro dispositivi sanitari (gel per mani, termometro a pistola) e assicurazione pagata per tutt* i/le partecipant*. Ogni attività sarebbe stata poi libera e gratuita, con possibilità di offerte sempre pensate al fine di recuperare tutti i costi di cui ci siamo fatt* carico autonomamente come singoli e in quanto associazione non riconosciuta, entità prevista dal codice civile. Per quanto riguarda invece le disposizioni anti-Covid, fin dall’inizio è stata nostra premura dar vita ad un evento nel pieno rispetto delle stesse. Siamo giovani, non scellerati, ma forse questo è uno di quei pregiudizi duri a morire che pesano sulla nostra generazione quando cerca di combinare qualcosa. Il nostro “festival” si sarebbe tenuto in un ampissimo spazio all’aperto (alleghiamo foto in basso) e avrebbe previsto obbligo di mascherina all’ingresso e dopo le 18. Gli ingressi sarebbero stati limitati, dopo obbligatoria registrazione gratuita sul nostro sito, e il distanziamento interpersonale sarebbe stato ampiamente garantito.
A seguito di opportuna segnalazione alla questura, peraltro effettuata per eccesso di premura, in quanto non comprendiamo secondo quale obbligo andrebbe attenzionato, ripetiamo, un evento privato, per di più di rilevanza culturale e sociale, è iniziato tutto il tram-tram di “strategia della tensione”, ingerenza spropositata, minacce a mezza bocca e paternalistiche di perquisizioni in loco. Per chiarezza lo scriviamo nero su bianco: non ci è stato vietato lo svolgimento dell’evento in sé, ma abbiamo in poche ore assistito ad un atteggiamento di pressione psicologica e incertezza il quale, infine, ha fatto prevalere il nostro senso di responsabilità nei confronti della buona riuscita dell’evento e della serenità e libera partecipazione di ospiti e amici. Questo perché, per noi, tutto quello che è successo si configura come l’esatto opposto di uno stato di “sicurezza”, concetto ormai usato come grimaldello – lo sappiamo – per mortificare tentativi di socialità e attivismo. Non ci siamo certo sentiti più sicuri e “protetti” rispetto a queste dinamiche. Immaginate, nel pieno di un workshop di Yoga, essere interrotti dall’arrivo delle volanti. Immaginate essere insieme a parlare di omobitransfobia, fragilità, povertà, solitudine, bellezza e doverlo fare in questo clima. Non l’abbiamo ritenuto opportuno, in rispetto alla nostra anima e missione.
Dopo un tentativo di salvare le nostre “Tante Belle Cose” con un cambio location all’ultimo minuto, abbiamo dovuto necessariamente fermare tutto per ulteriori problemi e incertezze presentatesi. Dunque alla fine è stata proprio la paura, tema che avrebbe animato la nostra giornata, a riaffacciarsi forte e spavalda, precipitandoci in frustrazione, rabbia e sconcerto. Una paura atavica, che si fa annunciatrice di chiusura e limiti, repressione e irragionevolezza camuffata da ordine e legge. Ci rattrista soprattutto constatare l’accanimento nei confronti di un evento di importanza culturale e sociale, organizzato da giovani impegnat* e volenteros*, a fronte dello svolgimento di numerosi eventi similari in questi giorni su tutto il nostro territorio, che non sembrano aver ricevuto le stesse “attenzioni”. E ci sembra ancor più assurdo che questo sia accaduto mentre si continuano a tenere comizi politici e altro genere di manifestazioni senza alcun rispetto del distanziamento sociale e delle altre norme anti-covid. Eppure questo non sembra attirare riprensione, tensione, volontà preventiva di accertamento, sospetto.
Forse che restare nel canale della politica istituzionale offra una sorta di lasciapassare, rispetto ad attività, anche politiche, pensate e realizzate dal basso? Chissà.
Ci chiediamo quali siano allora le ragioni del trattamento che ci è stato riservato. In fondo, sarebbe bastata una veloce ricerca sui social per capire chi siamo e cosa facciamo. Per scoprire che il nostro è un movimento composto da tante anime, che tra noi ci sono studenti e studentesse; c’è chi attualmente si trova in Congo come volontario; chi scrive per professione e passione; chi realizza illustrazioni e dipinti; chi fa musica o cinema. O per scoprire che abbiamo già partecipato ad eventi culturali come ospiti, sostenuto manifestazioni democratiche e trasversali, raccontato l’attualità e il cambiamento, intervistato personaggi di spicco del nostro panorama politico e culturale, organizzato una festival online durante il lockdown che ha tenuto compagnia a centinaia di persone, con musica, poesia e dibattiti sui temi a noi cari: l’antirazzismo, la salute mentale, l’ambiente, i diritti di genere, l’educazione.
Siamo convint* che il pregiudizio nei nostri confronti sia frutto di una visione distorta sia del mondo giovanile che del concetto di socialità. E forse la nostra proposta musicale non ha stimolato abbastanza simpatie e serenità, attirandosi invece una demonizzazione istantanea, sullo spauracchio della “movida”, termine dalla connotazione sempre più negativa, sinonimo di degrado e insicurezza. Criminalizzare e reprimere il piacere di socializzare e divertirsi – addirittura! – sembra il leitmotiv della nostra epoca. Noi però continueremo a rivendicare a gran voce l’importanza della gioia e dello stare insieme come momento irrinunciabile e fondativo del fare comunità e dell’essere in relazione con noi stess*, il mondo e gli altri.
Questo è il senso del nostro progetto, in fondo: promuovere cambiamento attraverso bellezza, creatività, fantasia. Anche in politica e nell’attivismo c’è spazio per gioia e piacere. Anzi: da qui dovremmo ripartire, in opposizione a chi pianta semi di tristezza e frustrazione nei cuori; a chi ci vuole mummie ingiallite o santini in posa vittimistica.
La bellezza e libertà dei nostri corpi in condivisione sarà sempre il nostro orizzonte irrinunciabile.
Per ora le Tante Belle Cose vanno a casa. Per ora. Torneranno piene di colore e fantasia libera. A presto!
Desirée, Guglielmo, Ada, Elena e tutto il Team Aware
[Immagine in evidenza: Testimonianza di Luca Fortunato, responsabile della Capanna di Betlemme, durante il nostro #FerragostoResistente2020]
https://www.facebook.com/AwareBellezzaResistente/photos/a.2337689616476282/2748914415353798
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