Si chiama Stranger Fruit ed è l’ultimo progetto fotografico dell’artista Jon Henry. Nei suoi scatti il trauma delle madri afroamericane davanti alla perdita di un figlio a causa della violenza razzista della polizia.
La necessità di questo progetto, dice l’artista, nasce «in risposta agli omicidi insensati di uomini neri in tutta la Nazione per mezzo della violenza della polizia». Stranger Fruit è infatti allo stesso tempo atto di denuncia e tentativo di sensibilizzazione rispetto al tema della brutalità e del razzismo delle forze dell’ordine negli Stati Uniti, che come sappiamo è stato un tema caldo degli ultimi mesi sulla scia delle proteste del Black Lives Matter dopo l’uccisione di George Floyd. Nei suoi scatti, il fotografo sceglie di raccontare il trauma delle madri afroamericane, che vivono nella costante paura di perdere il proprio figlio. Jon Henry, che per quindici anni ha lavorato come sagrestano nel Queens, confessa che il progetto è ispirato all’iconografia cristiana. Appare lampante, infatti, il richiamo delle pose alla classica Pietà.
«Mi sento triste, triste che le madri debbano passare tutto questo… Mio figlio è riuscito ad alzarsi e a rimettersi i vestiti. Altri, no».
L’origine di Stranger Fruit non è recente. Henry inizia a scattare le foto nel 2014, ma è già dal 2006 che l’idea del progetto prende piede, a seguito della morte di Sean Bell, nel giorno del suo matrimonio. Con queste foto Henry mette in scena tutta l’inaudita atrocità di un orrore che si consuma sotto gli occhi di tutti, nella quotidianità di molte persone e nell’indifferenza di altre. Non a caso le ambientazioni scelte dal fotografo sono spazi familiari alle persone ritratte: strade affollate, parcheggi, vicoli, parchi, chiese; persino abitazioni private. La violenza può raggiungerci ovunque.
Il fotografo ha inviato le immagini a ogni donna, con un questionario allegato in cui chiedeva di esprimere il proprio pensiero prima e dopo che le foto fossero scattate. Alcune delle riposte sono diventate parte integrante del progetto.
«I feel scared, I feel next. I feel like [my son’s name] could be the next hashtag».
Il fatto che queste morti non siano reali, ma costruite su un set fotografico, non sminuisce la potenza del messaggio; piuttosto l’arricchisce imprimendo in un’immagine la paura costante, con cui queste donne e le loro famiglie devono convivere, di perdere i loro cari.
«Sono ancora mentalmente congelati in quella posizione, quella tristezza, quella frattura. Mi sento in colpa a sentirmi sollevato che sia solo un’immagine, perché per gli altri è la realtà».
Le donne, con i loro figli tra le braccia, guardano tutte dritte verso l’obiettivo: il loro sguardo chiama lo spettatore, lo coinvolge nella scena – nel loro dolore -, non vuole lasciarlo andare. Lo stesso spettatore che assiste ai continui omicidi a sfondo razziale perpetrati da anni nell’impunità di una Nazione. Lo stesso spettatore che ha due scelte: girarsi dall’altra parte o farsi portavoce delle richieste che stanno infiammando da mesi il suolo statunitense, e non solo. Il richiamo, l’appello, dunque, non è solo al singolo ma alla comunità di cui fa parte e su cui può intervenire.
Ancora una volta l’arte si configura come valida risposta alla violenza; una protesta alternativa e pacifica eppure di enorme impatto emotivo.
«Spero che questo lavoro dia una nuova prospettiva a una questione in corso negli Stati Uniti e all’estero. Nessuna madre dovrebbe sopportare questa sofferenza, preoccuparsi che un incontro con le forze dell’ordine, quelle che hanno giurato di proteggere e servire, possa portare alla morte del proprio figlio».
Vi lasciamo alcuni degli scatti più belli. Potete trovare tutta la serie Stranger Fruit seguendo Jon Henry sui suoi canali social