Presentato il nuovo Rapporto ISMU sulle migrazioni 2020, uno strumento importante per iniziare a capire l’impatto dell’emergenza sanitaria sui flussi migratori e sulle comunità di immigrati sul nostro territorio. Tra i nodi critici, dignità del lavoro “essenziale” e di cura, contrasto all’etnicizzazione della povertà, costruzione di nuovi paradigmi globali, collaborazione europea, necessità di un giornalismo etico.
Si è svolta il 23 febbraio 2021 la presentazione del XXVI Rapporto ISMU sulle migrazioni 2020, con un evento in diretta sulle pagine social della Fondazione che da trent’anni si occupa di promuovere ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale, con focus particolare sul fenomeno migratorio. Il nuovo Rapporto, disponibile quest’anno anche in download gratuito sul sito dell’associazione, fornisce dati statistici, approfondimenti e strumenti utili per iniziare ad inquadrare l’impatto che la pandemia ha avuto sui flussi migratori e sulle condizioni dei/lle migranti in Italia, andando ad individuare in lavoro, scuola e salute le tre aree su cui porre particolare attenzione. Non solo: nel documento si approfondisce l’attuale quadro normativo europeo alla luce della nuova regolarizzazione introdotta nell’anno appena trascorso. Spazio anche a riflessioni sul legame tra media, politica e immigrazione, sul razzismo ai tempi del Coronavirus e sull’importanza dell’azione umanitaria.
In particolare, al 1 gennaio 2020, si rilevano segnali di stagnazione riguardo la presenza di stranieri nel nostro Paese, ridotta in termini assoluti (6 milioni e 190mila unità). Tuttavia, nel corso del 2020, come già segnalato, sbarchi e ingressi non sono diminuiti, mentre cresce il numero di migranti fermi nelle zone di frontiera, sottoposti ad ogni sorta di violazioni dei diritti umani, denunciate in Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e in Grecia, per citare i casi più drammatici.
Evidente è stato inoltre l’impatto della cancellazione della protezione umanitaria in Italia, che ha inciso sulla composizione delle provenienze e sull’incidenza dei dinieghi. Si abbassa l’attrattività del nostro Paese a causa della pandemia e dello spettro della crisi economica, con una diminuzione degli ingressi legali che, combinata alla regolarizzazione avviata nell’estate 2020, farebbe presagire un abbassamento dell’irregolarità nel futuro. A tal riguardo, in un momento critico per l’Italia, si è sottolineato come siano stati indotti a scommettere sulla fuoriuscita da una situazione irregolare coloro che potevano già contare su reti sociali ben radicate e comunità numerose e ben integrate sul territorio.
Abbiamo seguito anche noi la presentazione in diretta, qui di seguito riportiamo i punti principali toccati durante gli interventi, per area di interesse.
Migrazioni, il 2020 l’anno della discontinuità
Gli effetti del Covid-19 sui flussi migratori
Come prevedibile, il Covid-19 ha avuto un impatto inevitabile sul fenomeno migratorio: gli effetti dell’emergenza sanitaria, combinati alle restrizioni imposte alla possibilità di movimento, hanno causato una diminuzione considerevole degli spostamenti. Tuttavia, come rilevato dall’UNHCR, questo trend non ha riguardato le migrazioni “forzate”, che sono continuate a livello globale, tra richiedenti asilo e sfollati interni. In Italia, in particolare, si è registrato nel 2020 un aumento di arrivi via mare: 34.000, a fronte degli 11.000 nel 2019 e 23.000 nel 2018. Ciò significa che la drammaticità di molte situazioni di fragilità economica, sociale ed esistenziale, inasprite ulteriormente dalla pandemia, ha indotto le persone a spostarsi nonostante i rischi di contagio.
La situazione dei migranti in Italia, tra precarietà e discriminazione
Gli effetti dell’emergenza sanitaria sono stati particolarmente negativi sulle comunità di stranieri presenti sul territorio italiano, che già rappresentavano, ben prima dell’inizio della pandemia, le fasce di popolazione più vulnerabili. Gli immigrati in genere sono più esposti al rischio, perché si trovano in condizioni abitative più precarie e soprattutto perché impiegati nei cosiddetti “settori essenziali” che richiedono lavoro in presenza: grande distribuzione, logistica, filiera agro-alimentare, ma anche il lavoro domestico e di cura. Si rileva la forte fragilità della condizione economica delle famiglie composte da “stranieri” con figli, già prima del Covid-19 indicate come le più svantaggiate, con un tasso di povertà 5 volte maggiore rispetto alle famiglie “italiane”. A ciò si aggiunga l’acuirsi di atteggiamenti discriminatori verso gli stranieri e dei crimini d’odio a sfondo razzista, come rilevato da numerose indagini europee.
L’importanza di un impegno comune
Davanti alla criticità della situazione, le proposte sembrano ancora insufficienti di fronte al dramma persistente delle morti nel Mediterraneo, 1646 nel 2020 (fonte: UNHCR), e alle notizie che giungono dalle frontiere interne, si pensi ad esempio alla tragica situazione denunciata nel campo di Lipa, in Bosnia. Il nuovo patto dell’UE su migrazioni e asilo, tuttavia, potrebbe costituire un passo in avanti verso dialoghi più proficui e il consolidamento dei valori democratici alla base del cammino verso un’Europa davvero unita e solidale.
Migrazioni, migranti, lavoro: verso nuovi paradigmi
Una questione di dignità del lavoro
Il Covid-19 ha segnato uno spartiacque definitivo, mettendo in luce i nodi irrisolti e le falle alla base delle nostre società e dandoci l’occasione per un ripensamento globale delle grandi questioni della nostra epoca. Nel suo intervento, dal titolo polemico “Dobbiamo arrenderci all’irregolarità?“, la dott.ssa Laura Zanfrini, Responsabile del Settore Economia e Lavoro ISMU, ha rilevato come, fin dal primo lockdown, sia prevalsa nella comunicazione una logica tutta utilitaristica per quanto riguarda la questione di una possibile regolamentazione degli immigrati sul nostro territorio, proposta portata avanti sulla scia di un “fabbisogno di lavoro” che sdogana il concetto di “lavoro da immigrato”, invece che un’impostazione di tipo umanitario. Ciò risulta particolarmente problematico se andiamo poi a vedere lo scarto esistente tra il racconto della legge e la realtà: 6 su 10 occupati nel lavoro domestico continuano a lavorare in nero, dimostrando come la questione non sia tanto un problema di leggi sull’immigrazione, ma di comportamenti dei datori di lavoro, su cui occorrerebbe intervenire.
Lavoro essenziale, lavoro di cura: nuove consapevolezze
La pandemia ha inoltre avuto il merito di (ri)aprire un dibattito sul concetto di lavoro “essenziale”: ci si è resi conto, infatti, a livello internazionale, che i lavori più esposti a condizioni svantaggiose e sfruttamento siano allo stesso tempo quelli su cui la nostra società si fonda: la filiera agro-alimentare, i trasporti, la logistica e il lavoro di cura, grande tema di fortissima attualità anche tra i movimenti femministi. Abbiamo creato una sorta di infrastruttura schiavista che rende possibile la nostra esistenza quotidiana, che andrebbe smantellata e ripensata radicalmente nella sua interezza. A questo si aggiungono i “costi” dell’irregolarità, non risolvibile secondo un quadro unicamente giuridico. Il processo di “etnicizzazione” della povertà e della precarietà economica ed esistenziale non può che porsi come problema di tutta la società, da affrontare nel singoli Paesi e come comunità Europea e globale.
Quali soluzioni?
Tra le proposte per la costruzione di un nuovo paradigma si sottolineano la necessità di ridisegnare il quadro giuridico sulle migrazioni; l’avviare una coalizione globale per un lavoro dignitoso; il ripensare interamente le catene globali di produzione e distribuzione del valore; ricucire la cesura tra legge-sicurezza e diritti-inclusione.
Migrazione e informazione ai tempi del Covid-19
Un giornalismo etico
Nell’ultimo panel dell’evento Paola Barretta (Associazione Carta di Roma), Giulio Valtolina (Responsabile Settore minori, famiglie e religione ISMU) e il giornalista Venanzio Postiglione (Corriere della Sera) hanno dialogato sul rapporto tra opinione pubblica, media, politica e migrazioni, sottolineando l’importanza di una corretta informazione e di narrazioni e rappresentazioni etiche, allo scopo di arginare percezioni errate del fenomeno migratorio e derive razziste. Sappiamo che la formazione di una coscienza sociale consapevole passa inevitabilmente da un giornalismo sano, che possa essere davvero mediatore tra le diverse componenti sociali e le istituzioni, voce dell’intera comunità e non di alcuni, laboratorio incessante di democrazia, libertà, cittadinanza partecipata, e non semplicemente megafono dell’agenda politica.
Cala l’attenzione pubblica sulla questione migrante, ma il caso George Floyd scuote anche l’Italia
Durante il dibattito, si è ricordato come nel 2020 la questione del razzismo abbia avuto una fase di grande risalto, soprattutto a seguito del caso George Floyd, l’ennesimo cittadino afroamericano vittima della brutalità della polizia negli USA. La diffusione virale sui social del filmato che mostrava l’omicidio dell’uomo, soffocato a morte in strada, ha generato forti reazioni emotive anche nel nostro Paese, mobilitando campagne di solidarietà online ma anche manifestazioni “in presenza”, nonostante la pandemia. Tuttavia, la questione migrante ha subito un calo di attenzione pubblica nel corso del 2020, mentre permane una cornice allarmistica che però si è spostata, negli ultimi anni, dalla dimensione criminale a quella sanitaria, accentuata a causa della pandemia in corso.
Contestualizzare e umanizzare
Persiste il problema della scarsa presenza e rappresentazione della componente multietnica della nostra società nel discorso mediatico, uno dei nodi cruciali da affrontare per avviare processi realmente democratici e orizzontali di inclusione sociale. Se da un lato, dunque, occorre contestualizzare, fornendo dati e strumenti utili per una corretta comprensione del fenomeno migratorio, dall’altro occorre umanizzare, raccontando le storie, le esperienze e le lotte dei soggetti migranti, al fine di stimolare empatia e abbattere pregiudizi e distanze.
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