– di Eleonora Trapletti
Riportiamo la testimonianza di Eleonora, giovane volontaria coinvolta in diversi progetti di assistenza sociale all’interno dei centri penitenziari di La Paz, Bolivia. Nelle sue parole troviamo tutto il mare di sentimenti contrastanti che danno senso alla scelta di essere al fianco degli ultimi, a migliaia di km da casa.
Ci sono giornate cosi, dove la nostalgia prende il sopravvento e il desiderio di prendere il primo volo per una toccata e fuga arriva cosi all’improvviso.
Poi inizio a pensare alla scelta che ho fatto per venire fino a qui.
E tutto prende un altro colore, un’altra forma e la forza viene improvvisamente a me.
I pensieri si trasformano e diventano sempre più positivi.
Esco per la calle e osservo il paesaggio e le persone, guardo le cholitas che sono sul ciglio della strada a vendere frutta o verdura e che quando passo mi sorridono, vedo persone che aiutano anziani ad attraversare la strada,
osservo i colori di questa bella città e tutto assume un altro significato.
Sto crescendo, sto imparando e maturando come mai avrei pensato.
Quanti dubbi avevo prima di partire, quante paure…
Queste esperienze ti fanno riflettere molto sul senso della vita, sul significato di tutti i giorni e capisci che fermarti non va bene, per me e per le persone che ho voluto raggiungere fino a qui.
Lo devo a loro, lo devo a me stessa e a chi crede in me.
Non è sempre facile, ma sono qui per un motivo e ogni giorno si fa sempre più vivo e si rafforza.
Il sorriso dei ragazzi che vedo ogni volta che entro nel centro penitenziario dove lavoro mi conferma perché ho fatto questa scelta. L’attesa di un incontro che serve per parlare della loro situazione, di come si sentono, dei loro desideri… ecco, questo è quello che mi fa andare avanti.
Gli sguardi, quegli sguardi che nonostante le difficoltà continuano a lottare e ad emozionarsi.
Vedere gli occhi lucidi di un ragazzo che ti spiega che cosa è per lui l’amore, che ti racconta della sua ragazza che vive dall’altro lato del carcere e che riesce a vedere solo durante il passaggio da un’attività ludica all’altra, mi fa riflettere, mi fa commuovere… perché nonostante tutto ci credono. Credono in un amore che molti di loro mai hanno ricevuto dalla propria famiglia. Ma continuano, lottano, sbagliano a volte… ma non si fermano.
Questi ragazzi hanno fatto degli errori, ma il loro cuore pulsa più forte di prima e la privazione di libertà amplifica tutto.
Entrare ogni volta in carcere non è facile, non è possibile abituarsi ogni volta alla perquisizione, alle numerose domande che ti fanno i poliziotti.
No, non è facile…
Poi si entra e tutto diventa normale, si parla con i ragazzi, si organizzano attività, si ride, si scherza… ma poi arriva il MIO momento di uscire e loro rimangono dentro.
E anche a questo è difficile abituarsi, questo distacco non è semplice e immancabilmente un vuoto mi invade.
Sento che mi chiamano dall’alto delle loro celle e mi salutano per augurarmi una buona serata.
Io faccio lo stesso, ma penso anche che la loro serata sarà ben diversa dalla mia. Io ho la libertà e mai come oggi mi rendo conto di quanto sia un bene prezioso da tutelare.
Ormai per alcuni di loro sono Stay Human, per il tatuaggio che ho sul braccio… sono curiosi di chiedermi il significato e io sono ancora più felice di raccontarlo. Un po’ di Vittorio Arrigoni l’ho portato pure qui…
Poco tempo fa, dopo un taller, un ragazzo si è avvicinato e un po’ vergognoso mi ha messo il braccialetto che ha fatto durante il suo tempo libero, dicendomi: «Ho un regalo per te, lo abbiamo uguale e quindi te lo metto sullo stesso polso». Ogni volta che lo vedo, nonostante la separazione del cancello, il nostro saluto è mostrare il braccialetto.
Il momento che più mi riempie il cuore di gioia è quando arriva la data della libertà… non so se sono più emozionata io che li vedo uscire o loro che corrono verso quel cancello che tanto è stato da ostacolo tra il fuori e il dentro.
Che bellezza… passano a salutare e logicamente li riempio di raccomandazioni, perché può capitare di ricadere nelle vecchie abitudini. Ma li vedo poi pronti per il nuovo mondo, felici e desiderosi di dimostrare che tutti possono commettere errori, l’importante è comprenderli e andare avanti seguendo quello che si è imparato.
È bello quando li vedo fuori dal centro e mi raccontano cosa fanno e come è stato il ritorno in società. Con gli occhi lucidi parlano dei loro desideri, delle loro paure e obiettivi.
I sentimenti, le emozioni, la rabbia e la delusione sono amplificati lì dentro.
I sorrisi, scambiare due parole con loro e ricevere dei regali per il solo fatto di esistere e per ascoltarli non ha prezzo e il motivo per il quale io sono qui si fa sempre più chiaro.
In Bolivia hanno questa bellissima abitudine di esprimere gratitudine alla Madre Terra, di ringraziare ogni persona che c’è al tavolo alla fine di ogni pasto e, in generale in Sud America, di dire al termine di un incontro «cuidate» (prenditi cura di te stesso) o «que te vaya bien» (che ti vada bene). Questo è un popolo che ringrazia molto e ormai è entrato a far parte della mia quotidianità e ne sono felice.
Volevo ringraziare allora anch’io le persone che supportano questo progetto. Grazie perché continuano a credere che un mondo diverso sia possibile e che, a partire da semplici gesti come i nostri, possiamo smuovere le coscienze delle persone.
Il cambio di prospettiva, come dice una canzone, è possibile e chi riesce ad attuarlo ha già fatto molto per una società migliore.