Continuano le proteste in tutta la Bolivia a seguito delle elezioni del 20 ottobre. I comitati di protesta denunciano l’utilizzo da parte delle forze dell’ordine di gas lacrimogeni banditi dalle convenzioni internazionali durante gli scontri a La Paz. Numerosi i feriti e i manifestanti arrestati. Oggi la situazione nella capitale si fa ancora più tesa con la contro-manifestazione indetta da Morales. La comunità internazionale prende tempo in attesa che venga ultimato il monitoraggio sul conteggio delle schede.
La Paz è sotto assedio. Il presidente uscente Evo Morales, rappresentante del partito di maggioranza Movimento al Socialismo (MAS), ha indetto una manifestazione di piazza nella zona di El Alto durante la quale intende ufficializzare il proprio insediamento come presidente dello stato plurinazionale di Bolivia per il quarto mandato di fila. L’ex sindacalista cocalero di origine aymara sta dando seguito ai risultati inoltrati dal Tribunale Supremo Electoral (TSE) venerdì scorso che ne accreditavano la vittoria al primo turno, nonostante le opposizioni guidate dal candidato centrista Carlos Mesa del partito Comunidad Ciudadana (CC) continuino a denunciare una «frode vergognosa». La stessa comunità internazionale è intervenuta a più riprese per disconoscere il risultato delle votazioni, invitando all’attesa almeno fintanto che l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), presieduta dall’uruguaiano Luis Almagro, non avrà terminato il lavoro di revisione del conteggio delle schede operato dal TSE. A provare i brogli sarebbe intervenuto anche uno studio scientifico realizzato dall’ingegnere informatico boliviano Edgar Villegas, presentato sulla rete nazionale Television Boliviana Universitaria (TBU) e rilanciato dalla CNN, nel quale si rilevano almeno dodici incongruenze nel sistema di Trasmision Rapida y Segura de Resultados (TREP), la maggior parte delle quali a favore del MAS, equiparando il metodo utilizzato per lo scrutinio «ai sistemi di spoglio della dittatura venezuelana». Morales ha definito questo atteggiamento delle opposizioni e della comunità internazionale, Unione Europea in testa, un tentativo di “golpe della destra” ed ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il paese.
Questa dura reazione del presidente in-pectore non ha fatto che acuire la tensione di piazza. Le maggiori città boliviane sin da martedì sono in “paro civico indefinito”, sciopero generale che proseguirà fintanto che il rappresentante del MAS non accetti di dare il via libera alla seconda tornata elettorale con un ballottaggio contro lo sfidante Mesa. Santa Cruz de la Sierra, Cochabamba, Potosì, Tarija, La Paz, in ogni metropoli i manifestanti armati per lo più di bandiere e pentole arrugginite hanno bloccato ingressi e uscite dei centri urbani buttando in strada cassonetti dell’immondizia, pietre, segnaletica stradale e tavolacci di fortuna. Per giorni le vie adiacenti al centro sono state immerse nell’irrealtà di una vita apparentemente sospesa: strade vuote, la maggior parte delle attività commerciali chiuse, militari e polizia schierati in assetto antisommossa davanti ai principali palazzi istituzionali.
Nell’ultima settimana, a La Paz, i comitati di protesta si sono dati appuntamento ogni pomeriggio nella piazza centrale d San Francisco per dirigersi in marcia verso piazza Avaroa davanti alla sede del TSE. L’onda di manifestanti è andata aumentando di giorno in giorno, componendosi per lo più di studenti, universitari, sostenitori dei partiti di opposizione e rappresentanti di associazioni civili come 21F e Bolivia Dicho No, realtà apolitiche nate a seguito della decisione di Morales di screditare l’esito del referendum del 2016 in cui la maggioranza del popolo boliviano ne aveva chiesto le dimissioni.
Militari e polizia hanno reagito pacificamente fino alla nottata di mercoledì, data in cui i tentativi di contenere le proteste sono degenerati in veri e propri atti di forza. Da allora infatti le reazioni delle forze dell’ordine sono divenute decisamente violente e tra i manifestanti si contano numerosi feriti e contusi. In particolare, nella serata di venerdì rappresentanti delle forze di polizia hanno accerchiato gli studenti in contestazione davanti alla sede della università UMSA sparando gas lacrimogeno, petardi, cartucce di plastica, due granate rimaste inesplose e portando avanti dure cariche armate. Solo l’intervento dei docenti dell’università, che hanno mediato a favore degli studenti, è riuscito a scongiurare il peggio. Molti dei presenti denunciano l’utilizzo, in questa occasione, di armi illecite e pericolose da parte della polizia, tra cui il gas GL-202, proibito dagli accordi ONU (2013) per la gestione delle sommosse da parte delle forze dell’ordine, la cui dispersione massiva provoca vomito, stordimento e induzione all’aborto. I manifestanti denunciano peraltro che le forze dell’ordine stessero utilizzando le armi caricate a gas non per dissipare la folla ma per ferire, puntando direttamente ai corpi da distanza ravvicinata. Tra i feriti risulta anche una ragazza di 16 anni tutt’ora in prognosi riservata.
«Noi stiamo portando avanti marce pacifiche, la polizia ci attacca per intimidirci», ha dichiarato una giovane studentessa della UMSA presente durante gli scontri, «l’altro giorno ci siamo difesi con cordoni di filo e fuochi arrangiati alla meno peggio mentre loro sparavano colpi caricati a gas che provocano vomito, non solo lacrime; hanno lanciato anche due granate rimaste inesplose». «Molti nostri colleghi sono stati arrestati, altri feriti, lo stesso rettore della nostra università è stato violentemente colpito al volto (Aldo Albarracìn della UMSA, qui il video); non smettiamo di lottare per una Bolivia realmente democratica», afferma un’altra giovane manifestante mentre si prepara a far suonare la pentola nascosta nello zaino per il consueto “cacerolazo” delle nove di sera, orario in cui tutta la città risuona del tonfo metallico di pentole e utensili sbattuti dai cittadini in segno di protesta contro la condotta autoritaria di Evo Morales.
Nelle ultime ore la situazione nella capitale si è fatta ancora più tesa con l’arrivo di numerosi sostenitori del MAS dall’area rurale, intenzionati ad assistere all’auto-proclamazione di Morales come presidente dello stato. Nonostante il movimento dei “ponchos rojos” abbia rinunciato a partecipare, dichiarando per bocca del suo presidente Armando Mendoza di volersi mantenere «neutrale alle proteste», in città sono arrivati campesinos e minatori che con la forza, insieme ai sindacati dei trasporti della città, stanno tentando di eliminare i punti di blocco stradale realizzati dai manifestanti dell’opposizione. Non è ancora chiara la posizione degli abitanti di El Alto, l’area periferica della città che, con poco meno di un milione di abitanti, nella guerra civile del 2003 si era resa protagonista degli scontri più violenti, fino a costringere l’allora presidente De Lozada a rifugiarsi negli Stati Uniti. Sono in molti a credere che dal coinvolgimento dell’area dipenderà l’evoluzione e l’esito degli scontri.
A sostegno della sommossa è atterrato nella capitale andina anche Luis Fernando Camacho, giovane avvocato di Santa Cruz de la Sierra alla guida del Comité pro Santa Cruz, soprannominato dai sostenitori “Macho Camacho”, divenuto negli ultimi giorni il leader nazionale del movimento di protesta che chiede nuove elezioni, questa volta trasparenti. Al suo arrivo all’aeroporto della città numerosi esponenti del MAS si sono dati appuntamento per minacciarlo di morte, tentando di violare con la forza il cordone di protezione che ne garantiva l’incolumità.
La situazione nella capitale, come in tutto il paese, è estremamente incerta. Si teme una escalation di violenza negli scontri tra i rappresentanti delle due fazioni. Inoltre, l’utilizzo di armi esplosive e illecite da parte delle forze dell’ordine pro-Morales nei giorni passati fa presagire un tentativo di repressione della sommossa sanguinoso. Molti esperti ritengono che dall’esito delle presenti proteste dipenda molto più della sola stabilità politica boliviana. Lo stato infatti rappresenta attualmente l’ultimo baluardo, insieme al Venezuela, di un governo dichiaratamente neo-socialista nell’America Latina. La recente vittoria nelle votazioni argentine del peronista Alberto Fernandez sembrerebbe sostenere una inversione di tendenza nel continente rispetto all’ultima ondata elettorale che aveva visto il ritorno della destra al potere nella maggior parte degli stati sudamericani. Questo risvolto dell’ultim’ora potrebbe galvanizzare Morales convincendolo a proseguire nella repressione violenta della sommossa.
La speranza è che la risoluzione della crisi possa ricondursi all’interno dei canali istituzionali del paese, sia pur ormai divenuti estremamente fragili. La realtà delle ultime ore e l’atteggiamento di Morales sembrano far presagire, purtroppo, il contrario.
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