L’acqua cristallina del Lago Lugu, nella provincia cinese del Sichuan, nasconde una dolce storia leggendaria dal gusto romanticamente tibetano. Un incantevole spirito femminile, di nome Gemu, era solita intrattenere relazioni con gli spiriti montani locali.
Durante uno di questi appuntamenti uno spirito proveniente da una montagna lontana venne a trovarla in groppa al suo cavallo, ma accorgendosi che ella era già in buona compagnia si sentì umiliato: girò il cavallo e scappò via. Gemu udì il galoppo del destriero e provò a rincorrerlo, ma vanamente. Ciò che riuscì a trovare fu solo una grande impronta lasciato dallo zoccolo del cavallo, in cui versò tutte le sue lacrime fino a formare un grande lago.
Oggi sulle sponde del Lugu fiorisce la vita dei Mosuo, piccolo gruppo etnico protetto da Gemu, ora dea della montagna statuaria che veglia sul lago madre e i suoi discepoli.
La società dei Mosuo
La dea è raffigurata nell’iconografia locale come una giovane di straordinaria bellezza in sella ad un cavallo bianco, ma non è l’unica ad abitare il pantheon delle credenze Mosuo. A fianco a lei si pratica la religione Daba, che si fonda su principi animistici e viene tramandata oralmente da migliaia di anni.
Nella storia più recente, però, a causa delle interferenze con le etnie vicine, tra i Mosuo è cresciuto esponenzialmente il credo del buddismo tibetano, che ora è loro religione predominante. I Mosuo si stabilirono in gran parte sulle rive del lago circa un migliaio di anni fa, impostando una cultura agraria, di lavoro nelle fattorie e del bestiame (yak, pecore, pollame).
All’interno della comunità è corrente l’uso del baratto, e il denaro è usato per lo più per le interazioni con gli ambienti esterni, per l’istruzione o anche per l’uso dell’elettricità sempre più frequente nei villaggi. In tempi lontani avevano una tradizione feudale, in cui una ristretta nobiltà controllava la più ampia parte contadina. Per limitarne i poteri, la nobiltà decise di dotare lo status sociale della classe contadina di un sistema matriarcale, che imponeva quindi di seguire la discendenza attraverso la linea femminile.
Questa decisione ebbe effetti successivi che rendono, ancora oggi, i Mosuo molto noti.
L’organizzazione matriarcale
L’organizzazione sociale, infatti, è matriarcale. Ogni persona dei vari clan in cui è divisa la popolazione possiede il nome della donna più anziana (Ah mi, in cinese), la madre del clan, che ha potere assoluto. La matriarca di un clan, con l’aiuto delle sue sorelle, si occupa degli affari sociali, economici e della casa.
Amministra tutti i possedimenti del clan: la casa, i campi, gli animali ed i prodotti alimentari domestici, come i cavalli, che sono di solito usati dagli uomini. A questi ultimi è invece affidata la sfera politica della vita. È infatti il fratello della Ah mi che viene scelto per essere il rappresentante del clan negli affari esterni, la comunicazione con i vicini, le assemblee e la pianificazione del lavoro degli uomini.
I nomi delle proprietà della casa e della terra sono esclusivamente ereditati dalla stirpe femminile.
Gonne e Pantaloni
I ragazzi Mosuo entrano nel mondo adulto dopo aver partecipato alla cerimonia della maturità. Questa cerimonia, che si svolge all’età di tredici anni, segna il passaggio di una ragazza alla femminilità e la transizione di un maschio alla virilità. Una volta cresciuti, alle ragazze viene data la gonna e ai ragazzi vengono dati i pantaloni, motivi per i quali vengono chiamate “cerimonia della gonna” e “cerimonia dei pantaloni“.
Dopo la maggiore età, le femmine Mosuo possono avere la loro camera da letto privata, chiamata “stanza fiorita”; e, una volta passata la pubertà, può iniziare a invitare partner per “matrimoni ambulanti”.
Tisese
La pratica del matrimonio ambulante (Zou hun in cinese), tradotto anche come “matrimonio a piedi”, è la forma più importante di sposalizio per la cultura Mosuo. Si usa anche il termine tisese, letteralmente «va avanti e indietro»: le donne invitano gli uomini di interesse nella loro camera da letto privata; se accettano sono autorizzati ad entrare nella loro zona privata.
Se l’uomo non ricambia questo desiderio, potrebbe semplicemente non visitare mai la casa della donna. Gli uomini eseguono tisese nel vero senso della parola, possono cercare di entrare nelle camere da letto di ogni donna che desiderano e da cui sono desiderati.
Quando i sentimenti sono reciproci, un uomo sarà autorizzato nella zona notte privata di una donna. Lì passerà la notte e tornerà a casa di sua madre la mattina presto. La famiglia e le pratiche tradizionali Mosuo offrono alle donne una specifica eguaglianza e un agire sulla vita sessuale e procreativa, cosa rara nella maggior parte delle culture. Infatti, i comportamenti sessuali delle donne sono giudicati equamente, e le ragazze e ragazzi sono cresciuti imparando ad esprimere la sessualità allo stesso livello.
Il Regno delle Donne
Il popolo è diventato famoso al turismo proprio per questa struttura che gli vale il nome (più a scopi commerciali) di “Regno delle donne”. Gli ultimi 25 anni hanno portato tra i Mosuo un influente afflusso di turismo e alla conseguente creazione di strutture ricettive e negozi.
Nonostante la possibilità di accesso ai villaggi, le interazioni tra turisti e locali sono minime, anche per volontà dei locali stessi che preferiscono mantenere un certo limite di privacy. Anche se la modernità ha portato lievi cambiamenti nello stile di vita di questa comunità (l’uso della televisione e il miglioramento dei trasporti in primis), la società Mosuo può essere un insegnamento da non sottovalutare.
Come dice Stefania Renda, antropologa e studiosa della popolazione Mosuo, “in un mondo sempre più improntato sul capitalismo e sulla violenza in ogni sua forma, confrontarci con una società di pace, come quella dei Mosuo, non può far altro ispirarci per creare nuovi modi di vivere-nel-mondo, perché un diverso modo di vivere è possibile, anzi, esiste già.”
Menzione speciale per l’uso del lessico: la lingua natia dei Mosuo non ha termini che indicano i concetti di “stupro”, “femminicidio” e “pedofilia”, poiché sono nozioni non appartenenti al loro paradigma culturale, in quanto la violenza in ogni sua forma crea una forte riprovazione ed è una rarità.
Immagine in evidenza// credits: Karolin Klüppel per National Geographic
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