Orizzonti vicini: Hadza, Tanzania

In un angolo della Tanzania, gli Hadza adottano una politica di semi-nomadismo per rispetto della terra che li ospita: prendere ciò che serve e non di più.

Poco più a sud dell’equatore, sulle sponde salate del Lago Eyasi della Tanzania, c’è un gruppo etnico di quasi mille persone. Gli Hadza, o Hadzabe’e, non hanno strette correlazioni con nessun’altra popolazione e sono una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori rimaste in Africa.

Il popolo Hadza: abitudini e storia

Infatti questo popolo è abituato ad usufruire delle risorse naturali al semplice scopo di nutrimento, ciò li porta quindi ad abbandonare il terreno usato per permettergli di rigenerarsi. La loro particolare luce è data proprio da uno stile di vita che prevede l’utilizzo della terra senza esagerazione egoistica, che deriva da un rapporto naturalistico e primordiale con l’esistenza e li isola dal resto delle tribù.

La loro stessa lingua è isolata, cioè non dimostra parentela con altre lingue al mondo, e fortunatamente non è considerata a rischio di scomparsa, nonostante il basso numero di parlanti, perché è usata da parlanti di tutte le fasce d’età.

Non possiedono caratteristici riti né un sistema di credenze religiose, non festeggiano anniversari o compleanni e non contano neanche il passare del tempo. E ne avrebbero tanto da contare. Risiedono, infatti, vicino alla Gola di Olduvai, uno dei siti archeologi più importanti del mondo, dove sono stati rinvenuti i resti di uno dei primi ominidi della specie homo habilis (vissuto circa 1,9 milioni di anni fa).

Le quattro epoche

È probabile che gli Hadza vivano in quella zona da millenni. Geneticamente parlando, sono una delle più antiche stirpi dell’umanità, ma come detto non sono abituati a contare gli anni. Hanno un proprio modo di percepire la storia: stando a quanto riferisce un racconto della loro oralità, dividono il loro passato in quattro epoche abitate ognuna da una cultura diversa.

All’inizio dei tempi il mondo era abitato da giganti pelosi chiamati “akakaanebee” (trad. ‘primi’), che non possedevano attrezzi o fuoco, quindi mangiavano la carne cruda e vivevano sotto gli alberi non potendo costruire case.

La seconda epoca fu dei “xhaaxhaanebee” (trad. ‘intermedi’), ugualmente giganteschi ma senza capelli. Loro vivevano nelle grotte e avevano il fuoco, e inoltre furono i primi ad usare medicinali e ciondoli di protezione contro i nemici.

In seguito, furono sostituiti dai più piccoli “hamakwanebee” (trad. ‘ultimi giorni’), che inventarono arco, frecce, contenitori per cucinare e capanne dove dormire.

La quarta epoca è quella che continua ancora oggi ed è abitata dagli “hamayishonebee” (trad. ‘quelli di oggi’), di cui si hanno notizie più solide grazie ai vari contatti che questo popolo ha avuto con la società esterna.

Dopo secoli di pregiudizi sulla loro presunta “arretratezza”, i libri di storia ci dicono che nel XIX° secolo l’area degli Hadza divenne parte dell’Africa Orientale Tedesca. Il gioco di potere europeo vide gli Hadza passare sotto il controllo britannico alla fine della Prima Guerra Mondiale (1917), e i racconti dei primi visitatori europei ritraggono la tribù tanzaniana come viventi più o meno allo stesso modo di oggi.

Il Novecento ha visto compiersi svariati tentativi di “sedentarizzare” questa comunità, che però resiste agli impulsi dei governi e continua nel suo obiettivo di non disturbare la natura, per usarla semplicemente come rifornimento. I tentativi di insediamento coloniale hanno inoltre provocato molti decessi (in particolare di età infantile), causati dalle malattie che gli europei portarono durante i loro contatti con gli Hadza.

Lago Eyasi
Uno scorcio dell’ambiente naturale in cui vivono gli Hadza// credits: Acacia Safari

La “non” religione

Sebbene credano in miti e cosmologie tramandate di generazione in generazione, non si può parlare di una effettiva religione. Il Dio Haine, Ishoko (il sole) e Seeta (la luna) provvedono alla persona Hadza che cerca di onorarli in ogni sua azione e non si riscontrano sovrastrutture particolari.

Non si registrano leader religiosi, luoghi di culto, festività, idoli, credenze nell’aldilà o saltuari incontri di natura religiosa. Certamente, però, si crede in figure mitologiche da cui si dice derivino l’uomo e la terra. Per esempio, la divinità Ishoko ha creato gli animali e le persone e pronunciare il suo nome può significare un saluto o un buon augurio a qualcuno per una caccia di successo.

Tuttavia, un rituale importante per la cultura Hadza è la danza Epeme.

L’Epeme

Epeme può essere inteso come il concetto di virilità, caccia e relazioni tra i sessi degli Hadza. Gli uomini adulti sono chiamati Epeme, e lo diventano uccidendo una selvaggina di grandi dimensioni, di solito nei primi vent’anni di vita. Comunque, se entro i trent’anni non si è riusciti a compiere quest’atto, si diventa Epeme automaticamente.

Foggiarsi di questo epiteto, tra gli Hadza, ha un vantaggio: solo gli Epeme possono mangiare alcune parti di selvaggina di grandi dimensioni (facoceri, giraffe, bufali, gnu, leoni). Oltre a poter gustare della carne migliore, gli uomini adulti partecipano ad una speciale danza che porta sempre il nome di Epeme.

Ogni notte in cui la luna non è visibile, nella completa oscurità, un uomo alla volta balla indossando un mantello nero, un copricapo di piume di struzzo e campanelli alle caviglie. Le donne lo guardano battere il piede a ritmo, scuotere maracas di zucca e cantare, e dopo alcuni giri di questa esibizione si uniranno a lui nella danza. L’immaginario vuole che, durante questa danza, gli antenati Hadza si alzino dai cespugli e si uniscano alla danza.

Uomo Hadza con l'arco
Un uomo Hadza tende l’arco in attesa della preda// credits: Rita Willaert per “Flickr”

Civiltà Hadza

Il concetto di civiltà elaborato secondo l’ottica occidentale, ovvero come stato di equilibrio sociale e progresso, non è sempre in simbiosi però con la civiltà, intesa come benessere civile. I vantaggi della tecnica e della tecnologia non sempre sono utili, o almeno non a tutti. Gli Hadza sono da considerarsi poco “civili”, se si guarda solo al progresso scientifico e si adotta la lente occidentale, ma sono più civili di tutti se si parla invece di benessere della comunità e se si abbandona lo sguardo coloniale e il bisogno di giudicare secondo i nostri standard.

Basta semplicemente sapere che tra di loro è impossibile l’accumulo di beni: se qualche Hadza riesce a possedere più del dovuto, i beni vengono puntati in un “gioco d’azzardo”, lasciando che la fortuna distribuisca (più o meno equamente) agli altri quello che è in più per il singolo. Se anche si riesce a racimolare un bel gruzzolo di doni in questo gioco, il resto dei partecipanti segue il fortunato fino a casa per farlo continuare a giocare. Perché è la comunità che deve vincere il gioco, non il singolo.

È il popolo che deve guadagnare, non un individuo soltanto, per questo dare ciò che hai senza aspettarsi nulla in cambio è un obbligo morale.

Questa legge viene applicata anche nei riguardi della natura. Il rispetto che questo popolo nutre verso Madre Terra è tale da portarli ad un nomadismo ben calcolato. Usufruiscono di quello che la terra gli mette a disposizione finché la terra può sostenerli, poi si spostano altrove, di modo che ogni terreno abbia il suo tempo di rigenerarsi.

Anche la stessa caccia che praticano li vede usare frecce avvelenate che puntano solo una preda, senza particolari stratagemmi (come trappole o reti) che permetterebbero più resa ma danneggerebbero maggiormente la fauna e la flora. Bevono direttamente dalle fonti e vi ritornano ogni volta che hanno sete. Non scavano ad esaurire le sorgenti per la coltivazione o per dissetare il bestiame, perché ciò impoverirebbe le falde acquifere impedendo agli animali selvatici di bere. Dipendono dalle piante, e appunto per questo non le distruggono, non ne abbattono i rami per costruire case. Hanno cura della natura, che a sua volta ha cura di loro. Un esempio è l’Indicatore Golanera, uccellino dell’Africa Subsahariana che con il suo fischio chiama i cacciatori, e volando di albero in albero li guida verso i nidi delle api da cui poi gli Hadza ricavano il miele selvatico che tanto adorano.

Il concetto di uguaglianza che è alla base della loro società si riflette anche nei legami tra persone. Non riconoscono nessun leader ufficiale e le donne, che possiedono grande autonomia, partecipano ai processi decisionali al pari degli uomini. Da sottolineare come gli Hadza sono prevalentemente monogami ma non c’è in realtà nessuna imposizione sociale che lo obblighi o lo vieti.

Ragazzi Hadza
Quattro sorridenti ragazzi Hadza// credits: Jean du Plessis per “Wayo Africa”

Al giorno d’oggi

Paradossalmente, il loro stile di vita improntato al nomadismo è proprio la causa dei problemi attuali che si trovano ad affrontare gli Hadza. Altre tribù, attraversando l’area e pensando che fosse disabitata, vi si sono stabilite. La convivenza inizialmente era fattibile: la terra è fertile e può sfamare tutti. Ma presto si accorsero che l’agricoltura, il taglio degli alberi per costruire case e recinti, i pascoli e lo scavo di pozzi danneggiavano la loro casa naturale.

Alla fine dei conti, quindi, il “progresso” o presunto tale ha messo radici dove per millenni la gente non ha voluto, proprio perché irrispettoso nei confronti della vera padrona: la Terra. Da sempre considerati retrogradi o primitivi, in realtà gli Hadza non si oppongono allo sviluppo, bensì all’uso indiscriminato della terra. Cercano di progredire conservando l’eredità culturale che li contraddistingue e mettendo a frutto la conoscenza che hanno dell’ambiente per farne un uso positivo e sostenibile.

Negli ultimi decenni hanno perso oltre tre quarti della terra per chi si è sedentarizzato su di essa.
Gli Hadza si sentono abitanti della Tanzania, e difendono quelle terre e quelle tradizioni anche per i loro compatrioti, che rischiano di perdere una cultura ricca di conoscenze millenarie.

Nel 2007 il governo locale che controlla le terre Hadza adiacenti alla Valle di Yaeda ha affittato l’intero terreno di 6.500 chilometri quadrati alla famiglia reale Al Nahyan degli Emirati Arabi Uniti per utilizzarlo come “parco giochi personale per il safari”. Gli Hadza furono sfrattati, e chi oppose resistenza addirittura imprigionato. Fortunatamente, le proteste seguenti e la copertura internazionale che la vicenda ebbe portarono all’annullamento dell’accordo.

Nell’ottobre 2011, invece, una comunità Hadza di 700 persone ha ottenuto il riconoscimento dei titoli di proprietà su oltre 20.000 ettari di terra. Il governo della Tanzania, così, ha formalmente riconosciuto per la prima volta i diritti alla terra di una tribù minoritaria, il che rappresenta un fatto storico.

Tra i fumi delle metropoli è difficile dare un’occhiata a chi, nei colori della natura, vive in un apparente “stato brado”. Gli Hadza vivono insieme alla loro terra che rappresenta il loro passato, il loro presente e il loro futuro. Lì le piante, gli animali, i fiumi e gli esseri umani coesistono senza intralciare la vita altrui; nel mentre, la civiltà che tanto si propugna giusta e corretta soffoca il mondo portandolo a limiti naturali mai visti.

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Immagine in evidenza: Alcuni Hadza pronti per la caccia// credits: Matthieu Paley per Science

Lago Eyasi (2)
Veduta del Lago Eyasi, Tanzania// credits: Primaland Safari

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