Chi dice che non si può viaggiare da casa? Anche se non si hanno quei brividi sulla pelle, propri del sentirsi turista in un luogo sconosciuto, si può partire per un lungo viaggio stando semplicemente seduti alla scrivania. Decido di armarmi di curiosità e visitare ogni settimana una cultura che non conosco, cercando di sfatare il mito del “diverso” o, almeno, togliergli quella concezione negativa che opprime la parola e la società moderna.
La tribù Bemba
Come un moderno navigatore, ho affrontato le metaforiche acque della rete mosso dal desiderio della scoperta. Nel mio naufragare mi sono imbattuto in una vasta comunità dislocata nel cuore dell’Africa: la tribù Bemba, e per poterla conoscere meglio ho pensato di chiedere direttamente ad uno di loro. Spulciando vari gruppi su Facebook sono arrivato a Michael. Il sorriso che sfoggia nell’immagine del profilo mi ha subito invitato a chiedergli l’amicizia, prima materialmente sul social, poi simbolicamente con la corrispondenza che ne è nata. Ve lo presento: Michael ha 25 anni ed è laureato in Scienze Ambientali all’Università dello Zambia, che ha sede a Lusaka, capitale dello stato e sua città di residenza. Mi spiega che il suo cognome in lingua Bemba, che è lingua franca dello stato zambiano, significa “Dio, nostro creatore”, poi passa ad introdurmi la comunità di cui fa parte.
I Bemba abitano perlopiù l’altipiano nord-est dello Zambia e fanno parte della larga civiltà Bantu. Divisi in circa 40 clan, si occupano della coltivazione della manioca, del miglio e dell’allevamento del bestiame. La loro storia secolare li ha portati a continue migrazioni a causa dell’impoverimento continuo delle terre, e da qualche decennio sono impiegati anche nelle industrie minerarie del Sud. Sono fautori di varie e particolari tradizioni di cui Michael va molto fiero, come quella che vede un uomo chiedere la mano di una donna tramite la consegna di un piatto pieno di soldi alla famiglia di lei, che se accetta ritornerà all’uomo un piatto traboccante di cibo. Poiché la loro è una società matrilineare, cioè con discendenza attraverso la madre, al momento del matrimonio non sono richiesti grandi pagamenti in denaro o in beni da parte della famiglia della sposa.
Oggi le persone di cultura Bemba sono circa 3 milioni, sparsi in città e villaggi dello Zambia. Di varie estrazioni, ma sempre saldamente legati alle loro radici, si possono incontrare nei pub a bere una birra tradizionale, o a tifare la loro nazionale di calcio (tra l’altro composta da molti Bemba). Possono essere impegnati a cucinare lo Nshima, piatto tradizionale di farina di mais simile alla nostra polenta, magari mentre canticchiano le canzoni del loro folklore. Anche se il mio desiderio sarebbe quello di assistere alla cosiddetta Ukusefya Pa Ngwena, festa che ogni Agosto raccoglie i clan Bemba nel ricordo delle loro migrazioni: tra percussioni, danze, cibo e bevande di radici fermentate, il capo-clan (detto Chitimukulu) viene trasportato su un trono di cartapesta che rappresenta un coccodrillo, in nome dell’antico “Clan dei coccodrilli”.
I valori dei Bemba
Michael cerca sempre di impersonare i valori tanto cari ai Bemba: rispetto, umiltà e solidarietà. La sua disponibilità me lo dimostra, anche grazie alle rassicurazioni che si premura di darmi riguardo la mia carriera universitaria. Ciò che mi racconta sulla sua cultura è pieno di spunti che meriterebbero pagine a parte, perché alla fine le parole sono delle porte aperte su mondi sconfinati e affascinanti in cui immergersi a perdifiato.
In futuro conto di sfidare a calcio Michael, che quando non lavora si diverte a difendere i pali di una squadra dilettantistica, ma per ora mi limito a ringraziarlo in lingua Bemba per avermi permesso di camminare virtualmente di fianco a lui tra le sue terre colorate.
Tsikomo, Michael.
Immagine in evidenza: da bemba.bible