Facciamo un esperimento. Prendi un qualunque manuale di letteratura italiana, aprilo, scorri l’Indice. Quanti nomi di donna leggi? E no, non parlo dei box d’approfondimento, dei consigli di lettura o di quei capitoli-carrellata-polpettone.
Visto? Bene.
Ora prendi foglio e penna e scrivi almeno dieci nomi di autrici che conosci. Poi fai lo stesso per testi di autrici che sono stati fondamentali per la tua maturazione e crescita personale.
Quanti sono?
Se hai faticato nel completare quest’operazione allora ti chiediamo uno sforzo aggiuntivo. Poniti queste domande: perché compaiono così pochi nomi di donne nella lista mentale dei miei punti di riferimento intellettuali e letterari? Perché avverto quest’incertezza e questa estraniante sensazione di vuoto nel tentativo di individuare opere di donne fondanti per la mia vita e per il mio percorso umano?
Ti rivelo un segreto. Anche io, anni fa, mi sono trovata nella stramba posizione di farmi queste domande. Che strano, mi son detta, non averci pensato prima. Che strano non essermi mai posta questa questione, per di più “da donna”. E che strano non aver mai nemmeno percepito questa lacuna come un problema. Perché le mie icone e i miei modelli sono tutti uomini? Perché è così facile ed immediato, per me, donna, identificarmi in e lasciarmi ispirare da un modello maschile e non vale lo stesso al contrario?, ho cominciato a chiedere a me stessa.
Cos’era successo? Perché di punto in bianco ho iniziato a sbirciare tra indici e bibliografie, archivi e raccolte con uno sguardo diverso? A scrutare tra le mensole delle librerie sospettosa e irrequieta? A quell’epoca mi stavo avvicinando al pensiero femminista, che per me è stato un incontro-scontro quasi brutale, in un certo senso. Ad ogni consapevolezza in più acquisita, ecco montare la rabbia. Per molto tempo non mi sono sentita “più libera”, ma incazzata nera, profondamente ferita, come se avessi scoperto il più viscido degli inganni, come se stessi guardando me stessa e il mondo per la prima volta. A 24 anni.
Sono tanti. In quei 24 anni avevo vissuto, senza accorgermene, privata della possibilità di accedere ai saperi delle donne. Di conoscere le loro idee sulla vita, sull’amore, sull’angoscia, sulla politica, su Dio, sulla violenza, sul corpo. Di rispecchiarmi nei loro umori, nei versi gonfi di solitudine e gioia, di scavare i loro volti fino a vedervi il mio. Storia, filosofia, letteratura, poesia, scienze, teologia, spiritualità, politica erano stati fino a quel momento territori attraversati da uomini, solo uomini, voci autorevoli – le uniche – a plasmare il mio immaginario, i miei valori, i miei sogni. Giganti e geni irraggiungibili, tormentati e unici, dalle storie particolari e incredibili. Vedevo i loro volti ritratti sul mio libro di letteratura, corredati da biografie così accurate e analisi capillari, mentre le donne erano sempre veloci comparse, sbiadite sullo sfondo. Eccezioni alla norma, al canone.
Soprattutto, sono stata privata della possibilità di riconoscermi nella storia dell’altra, simile ma diversa, di scoprire la relazione che mi lega a Mary Wollenstoncraft, a Simone De Beauvoir, a Virginia Woolf, a Carla Lonzi, il filo conduttore che teneva e tiene unite le nostre vite, in un mondo in cui essere donna, ancora, significa non partecipare pienamente, in quanto soggetti, allo statuto di “esseri umani”. In un mondo in cui “umanità” è ancora sinonimo di “uomo” e l’essere umano in quanto tale rappresentato e raccontato secondo un maschile universale presentato come lo standard, con una pretesa di neutralità talmente invisibilizzata da risultarne spesso faticosissima la decostruzione.
Lo vediamo nelle conversazioni di tutti i giorni: spesso è frustrante portare alla luce questa realtà per discuterla, proprio in funzione del fatto che storicamente l’universale maschile si è costituito come norma e riconoscerlo richiede uno sforzo di “sguardo”, una messa in discussione radicale di tutta la nostra cultura e del modo in cui è stata costruita e, dunque, anche di noi stessə. È un inversione di rotta che crea vertigine, che riesce a far vacillare persino la tanto amata retorica dei “legittimi gusti”. Ecco, forse anche questi gusti andrebbero indagati e decostruiti per capire da dove arrivano davvero, per scoprire che forse la libertà da cui pensiamo di esser guidatə nelle nostre scelte non è poi così tanto reale, semplicemente perché a monte opera una discriminazione inimmaginabile tra chi merita di entrare a far parte della rosa di opzioni e chi no.
Ho ripensato a tutto questo quando, qualche tempo fa, un noto editore scriveva su Twitter, parafrasando, di essere in cerca di delucidazioni circa scrittrici meritevoli di entrare nel canone letterario italiano contemporaneo. Si badi bene: in quanto maestre di “stile”, non semplici autrici. Figure con un’autorità letteraria, gente che fa scuola. Non ci sono, semplicemente, se non due o tre nomi sparsi, sembra suggerire l’autore del Tweet. E se ci sono io non le conosco, non perché ignorante, ma evidentemente perché non sono geni, non sono “scrittori” (al maschile, volutamente), ma brave autrici, con pacca paternalista sul capo annessa. Che lo dica un editore, poi, doppiamente grave: non è solo ignoranza, ma espressione di privilegio e potere da parte di chi ha ruolo attivo proprio nella costruzione di quel fantomatico canone, quello che poi si riversa nei libri di testo in capitoloni e “percorsi d’approfondimento”. Ma non è sessismo, è la sua opinione, sono gusti!, tuonano diversi commenti al post.
Basterebbe fermarsi un momento per farsi una domanda, LA domanda: chi è che costruisce il canone? Eccolo, il punto. Cominciamo da qui. Come scrive Maria Serena Sapegno in Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole, «negli stessi manuali, succede di trovare un piccolo spazio dedicato alle scrittrici, in quanto “eccezioni che confermano la regola”, senza che venga mai posto il problema generale dello sguardo di chi fa storia e canone, dei criteri di selezione».
Un canone non è un luogo neutro, “ingenuo”: è espressione di rapporti di forza e strutture di potere; ne è influenzato e allo stesso tempo li rafforza, perché spazio di costruzione di eredità, tradizione, immaginari, memoria storica. È solo decostruendo questo “territorio”, invece che riferirci e richiamarci ad esso in modo acritico, che possiamo spostare il nostro sguardo e arricchirlo del contributo di tutta l’umanità, e non solo una parte; che possiamo rimodulare il nostro stesso immaginario, e allora non sarà più un problema per un ragazzo identificarsi eventualmente in un personaggio femminile. Tanto quanto per me non è mai stato faticoso né problematico identificarmi con Don Chisciotte, Dante, Batman o Dylan Dog, o adorare fino a sentirli nel profondo delle viscere libri scritti da uomini.
Le donne non sono in quell’Indice, non sono nella tua libreria, non rappresentano il tuo orizzonte di saperi e il tuo bagaglio di immaginari non perché non abbiano scritto e scritto bene. Non perché non abbiano dato alcun contributo all’umanità. Non le trovi perché, mentre loro si ostinavano e ostinano a scrivere poesie e romanzi, a discutere teorie e fare ricerca, venivano e vengono silenziate, invisibilizzate, sotto-rappresentate, messe al margine, in una società maschilista che le considera tutto sommato ancora appendici, strane creature, madri, mogli e ragazzine prima di tutto, e per la quale il canone è ancora territorio privilegiato dell’uomo. In una società paternalista e misogina che non riconosce i loro meriti e traguardi, che non si ricorda dei loro nomi, che ne diluisce e scioglie storie e personalità nella comune casella “Donna”, l’Altro della storia, come scriveva De Beauvoir nel Secondo Sesso.
Tu vai a prenderteli quei nomi. Pretendili. Arrabbiati. Inseguili. Scoprili. Ti racconteranno storie di meraviglia e orrore, desiderio e morte, mostri e mondi altri. Tremerai di dolcezza su certi versi, suderai sulle pagine di quel saggio incomprensibile, sbotterai per quel finale gestito male e deciderai di non voler leggere più niente di quell’autrice. E troverai tanti libri che non ti piacciono e tanti studi che non ti convincono: bene, benissimo! È così che dev’essere.
E se hai ancora dubbi, eccoti un’ultima domanda: di quanta bellezza ti stai privando accettando solo uno sguardo parziale sulla realtà, senza mai metterlo in discussione? A te sta bene che sia così?
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Per approfondire: https://www.societadelleletterate.it/
Immagine in evidenza: Anonymous Was a Woman, Kate Just, 2010 (http://www.katejust.com/)