Sapete cosa mi fa incazzare, ma per davvero?
Ah, cosa c’è? Noto un po’ di sorpresa. Credevate di trovare esclusivamente poesia e introspezione in questa rubrica? Ecco, no. Così, tra le altre cose, sfatiamo anche il mito della depressa costantemente ripiegata, incapace di reazione e soprattutto di raccontare con lucidità la propria insofferenza.
Dicevo… sapete cosa mi fa incazzare, ma proprio tanto? Vedere il mio dolore abusato e fagocitato dalle superficiali logiche consumistiche di questa società, che da un lato mi stigmatizza in quanto persona che soffre di depressione, imponendomi spesso silenzio, vergogna, frustrazione, e dall’altro si appropria del mio male e lo rivende in versione glamour, proponendo un modello di ragazza sensualmente e irresistibilmente “problematica”.
Avete presente, no? Stressed, Depressed, But Well Dressed. “Stressata, depressa, ma ben vestita“. Ho dovuto sorbirmi queste magliette in giro per negozi e vetrine, vederle sfoggiare nei selfie di influencer o aspiranti tali, addosso ad amiche o passanti. Sto esagerando? Ogni volta che ho provato a richiamare l’attenzione in un dibattito su questo fenomeno, mi è stato detto di essere troppo sensibile, troppo radicale e persino facile nel giudizio. Ed io zitta, ad ingoiare il rospo. «Che t’importa? Sono solo magliette simpatiche». «Non si può più scherzare su niente, eh!». O peggio: «è un modo per esorcizzare la malattia, “normalizzarla”. Dovresti esserne felice».
Ma certo. Ringraziamo il capitale di sfruttare il mio dolore per trarne profitto. Ringraziamolo di contribuire a rafforzare l’idea che la depressione sia un capriccio, una posa, un trend di anime un po’ controverse e “fuori dalle righe”. Un’estetica da social. Spettacolarizziamo la malattia, rendiamola attraente, glamourizziamola e raccontiamola in maniera mistificata, come se fosse, in fondo, una roba a cui aspirare, che ci rende un po’ più misteriose, irriverenti, “particolari”.
Io non ci sto. Non ci sto a vedere la mia sofferenza sovrascritta e mercificata. Non ci sto a vivere in una società che mi obbliga a perseguire un ideale di realizzazione letteralmente inconciliabile con il mio problema, me ne fa una colpa e infine mi propone una fottuta maglietta con cui esorcizzare quelle paure che essa stessa si trova impreparata ad affrontare e rendere davvero visibili, perché fonte di conflitto, ma anche punto di partenza per qualcosa di più radicale, per consapevolezze che superano la soglia del singolo e si fanno esigenze collettive.
Sapete cosa aprirebbe ad una reale normalizzazione della depressione, così come della malattia mentale in generale? Nominarla chiaramente, innanzitutto, nel contesto che le spetta. Rappresentarla in tutta la sua crudezza, durezza, verità. Dare l’opportunità alle persone che ne soffrono di raccontare la propria storia, senza vergogna. Rendere le nostre città, università, scuole, comunità luoghi “a misura” di salute mentale. Ripensare radicalmente gli spazi che viviamo e le logiche che li regolano. Coltivare empatia e consapevolezza.
Dunque, cosa rispondere a questi slogan che ci vogliono depresse, ma con stile? Occorre innanzitutto avere il coraggio di mostrare al mondo cosa significhi davvero vivere la depressione, perché credetemi, non c’è proprio niente di glamour da far vedere. Molto tempo fa, una persona mi ha detto «Vabbè, essere un po’ depresse è sexy eh, è quell’aria malinconica che ti rende affascinante, diversa dalle altre». Il tipo intendeva farmi un complimento. No, gentile amico, sei fuori strada. La depressione è quella malattia del cazzo che mi impedisce di uscire con chi mi piace e mi inchioda al letto a rimuginare su quanto io sia inadeguata a qualsivoglia forma di rapporto; è quella colla nera che s’aggrappa alle caviglie e rallenta ogni mio progetto, dalla laurea al lavoro, da quel viaggio a quella festa a cui sono stata invitata; è quella pellicola che s’avviluppa attorno al mio mondo e lo rende grigio, spento, vuoto, insensato.
Perché questo è. E vi posso assicurare, mai nella vita mi sono sentita una persona più affascinante o interessante in quanto depressa. Quella roba non sono io, capite? Quella roba lì io vorrei strapparmela di dosso e lanciarla su chi propina queste stronzate, per mostrar loro anche solo per un momento quanto sia bello, glamour e sexy soffrire di depressione. E ci manca solo che rendiamo la persino la malattia mentale una sorta di feticcio sessuale a uso e consumo dell’altro. Ma questa è un po’ anche colpa di una rappresentazione molto frequente nelle narrazioni dominanti e nell’immaginario collettivo rispetto ad una certa figura di “ragazza problematica”, che paradossalmente va poi a braccetto con quella della donnina capricciosa, viziata e degenere in quanto depressa.
Ora, io ho imparato ad accettare questo male, a conviverci. Ho imparato a vivere anche l’umiliazione e la frustrazione che spesso comporta il sentirsi così enormemente difettosi da pensare: se lo racconto agli altri cosa diranno di me? Come mi immagineranno? Perché questo è il punto: è difficile mostrare il proprio male. È difficile innanzitutto perché viviamo in un mondo ancora impreparato ad accettarlo senza colpevolizzarti, senza dirti che devi nasconderti e fingere.
Un mondo in cui nascondiamo il dolore e il conflitto sotto al tappeto, rimestando, masticando, aggiungendo glitter di qua e fiocchetti di là e risputando una roba che non è più dolore, non è più mia, ma una sbiadita copia di ciò che sono e vivo, più adatta di me ad essere rappresentata e accettata. Un mondo di magliette sbiadite che raccontano la mia malattia come fosse una moda. E che nel frattempo di me si dimentica.
Ma la depressione non è una moda. Non è una posa. Non è un’estetica per il vostro profilo Instagram.
E voi quella maglietta potete toglierla, buttarla, comprarne un’altra. Cambiare colore, cambiare slogan, scegliere il giallo, il rosso, il blu, fenicotteri, limoni, cuoricini, cocomeri e tutto quanto è trend del momento.
Io invece no. Io devo continuare ad indossarla.
Anche quando sarà passata di moda.
[Questa rubrica continua ogni venerdì, nella sezione ConsapevolMente, sotto il tag Il diario della depressa. Clicca sul link per recuperare le altre storie!]