Una chitarra, un microfono e tutto l’universo di parole e note che puoi stringerci dentro. Elianto è un vulcano dell’immaginazione prestato all’improvvisazione musicale, capace di cucire sul corpo nudo della realtà sillabe che suonano come schizzi di colore.
Ci siamo incontrati in occasione del “Festival delle cose belle #StaiacasaEdition“, di cui è stato ospite ieri sera insieme allo scrittore Peppe Millante e al poeta-libraio Paolo Fiorucci. Alle domande non mi ha risposto in rima, ma l’effetto delle parole è stato lo stesso di una qualsiasi serata di busking tra i Navigli di Milano.
L’ho salutato con la sensazione chiara addosso di aver incontrato uno degli artisti più resistenti che si trovano in circolazione (nonostante lui si definisca “escort” dello show-biz).
“Il mio gioco è spesso stato definito “infantile”. Per me non c’è complimento più grande”. Forse è riassunta tutta qui la resistenza di Elianto.
Elia, un cantastorie in quarantena è come un bomber in panchina. Come ci si sente a guardare il campo e non poter entrare? Ti tieni allenato con Tik-Tok?
Guarda l’ho scaricato giusto in quarantena per scoprire questa nuova frontiera (o deriva?) social. Un cantastorie con uno strumento del genere in realtà potrebbe partorire grandi cose. La creazione di contenuti originali (e non le challenge con i balletti) viene premiata anche dal pubblico più giovane. Riconosco però un mio limite: non mi diverte la virtualità nell’improvvisazione di canzoni. Non a caso è una cosa che ho iniziato a fare in strada, o comunque in mezzo a persone in carne ed ossa. Per tenermi allenato canto le mie canzoni improvvisate prendendo ispirazione dallo zapping in televisione.
Nella tua carriere hai spaziato dai palcoscenici di Italia’s Got Talent ai ponticelli sui Navigli. Due volti della stessa anima o esigenze di carriera? Cosa ricevi dai due ambienti e quale ti manca di più?
Non ricordo chi lo disse “i musicisti sono prostitute”, una frase molto vera. Ecco io non sono un musicista vero e proprio, infatti mi sento più che altro una escort. Non mi sono mai imposto dei grandi “no”. Spesso ho preferito domandarmi “perchè no?”. L’esperienza dell’improvvisazione era necessario partisse dalla strada. Li ti fai le ossa, improvvisando sulle persone e ti crei il “callo” (indispensabile anche a incassare insulti e minacce). Quando sono salito la prima volta su un palco che non fosse quello della strada, mi sono reso conto che avrei potuto decontestualizzare “lo show” in ogni luogo e così ho fatto. Prima di ITGOT sono passato per contesti, apparentemente meno “affini” a una figura come la mia: feste aziendali serissime in luoghi super eleganti, compleanni improbabili di ereditiere con a seguito imprenditori imbruttiti e golfisti professionisti, ristoranti stellati con chef visionari che volevano canzoni dedicate ai loro menù. L’unica necessità per me resta la presenza di persone in carne ed ossa, poi il resto è tutto contorno. Sicuramente in questo momento però ho più nostalgia della strada. L’unico palco a metterti allo stesso livello del pubblico.
Pensiamo alla tua infanzia e vediamo un bambino ipercinetico che improvvisa poesie di Natale alla velocità della luce. È davvero sempre stato così? O sei più della scuola Edison “il genio è 1% ispirazione e 99% traspirazione”?
No beh ipercinetico proprio no, sono sempre stato ascendente pianta grassa. Anzi da piccolo ero un bimbo taciturno che pensava molto e parlava poco. Ho recuperato un po’ di parole con il tempo. Però le poesie c’erano, mi è sempre piaciuto molto scrivere e sono tutt’ora pieno di taccuini fitti di pensieri, poesie, racconti. Il primo che ho fatto risale al 1997. Ma è sempre stato più che altro un istinto come quello di improvvisare. Sono decisamente più della scuola Tesla “L’istinto è qualcosa che trascende la conoscenza”.
Hai raccontato e preso in giro con le tue rime in musica i vezzi e i lazzi di migliaia di persone. Ci racconti la volta in cui per le tue rime stavi per prenderci un cazzotto (o lo hai preso) e quella in cui hai fatto innamorare (o stavi per farlo)?
I cazzotti finora sono risuscito a schivarli con la paraculaggine. Le volte in cui è successo sono sempre riuscito “cantando” a evitare la rissa, chiedendo scusa e spiegando il gioco in rima. Qualche ubriaco molesto in strada (ma anche alle feste aziendali) è diventato di grande ispirazione per certi endecasillabi. Ho creato delle coppie come un vero e proprio cupido chiedendo a ragazzo A di andare a dare un bacio a ragazza B, e magari scappava anche il limone duro, non ti so dire se sono tutt’ora innamorati. A me sono capitati tanti numeri di telefono nella custodia tra le monetine, qualche volta belle sorprese, altre volte solo sorprese.
Hai voce, suoni la chitarra meglio del 90% dei cantautori indie in circolazione, ma non hai mai deciso di darti ad un cantautorato impegnato o sentimentale. Questione di gusti o scelta etica? Cos’ha l’improvvisazione che la scrittura di un album non potrà mai darti?
Caspita, per rispondere a questa domanda dovrei scrivere un libro. Già sono logorroico di mio (si notava?). Proverò a sintetizzare. Scrivo canzoni da sempre, come un vero e proprio cantautore, ho avuto diverse band e fino ai 23 anni ci ho provato a muovermi in quel mondo, cercando il modo più adatto per portare la mia “essenza” (credevo di aver capito quale fosse) in musica alle orecchie della gente e necessariamente del mercato. Però il mercato nel frattempo è cambiato assieme a me . Ora di anni ne ho 31 e mi sto più che altro concentrando a capire quale sia la mia reale “essenza”. Sto progettando di tornare a scrivere e cantare del sano hard rock. Ma l’improvvisazione sta a tutto questo come la pasticceria al mondo della cucina, parliamo sempre di cibo ma è tutta un’altra cosa.
Nel nostro giornale online, la sezione dedicata all’arte di chiama “Arte resistente”. Credi che ci sia un carattere “resistente” nel seguire le briglie sciolte della realtà con la sola regola di metterle in rima? Si può ancora oggi, nel 2020, ai tempi della trap e di Dino Bini, parlare di arte “resistente” o è un anacronismo nostalgico?
Per resistere credo serva necessariamente sentirsi oppressi. Il punto è che ad oggi nel mondo della musica i rapper e i rocker più incazzati sono diventati papà e forse si è perso il gusto di combattere per le giuste cause. Quelli che ancora lo fanno sul serio, vengono giudicati anche male dai colleghi. Io dal mio canto posso ritenermi ancora “resistente” (forse addirittura sovversivo) nei confronti dei costumi della società. “Non è cosa…” è una della frasi che più ho cercato di sovvertire nel corso della mia vita. Ma temo che la mia “resistenza” si limiti ad andare contro i dogmi imposti.
Ieri sera sei stato ospite del nostro festival online insieme a Peppe Millanta, autore di Vinpeel degli orizzonti. Il romanzo racconta la storia di un bambino di nome Vinpeel capitato un po’ per caso un po’ per necessità in un posto dove le persone si sono dimenticate il motivo per cui non riescono più ad essere felici e fa di tutto per riportarle lontano, indietro nei luoghi della felicità. Quanto Vinpeel c’è in quello che fai?
Beh, credo molto. Non credo sia un caso che Vinpeel sia un bambino. Anche Elianto di Stefano Benni racconta di un bambino che abita a Tristalia e cercava di cambiare le cose. I luoghi della felicità appartengono quasi sempre al passato a mio parere. Io per evitare di dimenticarmi come essere felice mi sono sempre detto di non crescere in maniera “ definitiva”. Il mio gioco è spesso stato definito “infantile”. Per me non c’è complimento più grande.
Parliamo di quarantena. Pare che teatri e palcoscenici resteranno chiusi per tutto il 2020. Intanto Franceschini propone un’app per far esibire gli artisti. Che pensi di tutta la faccenda?
Penso che dovremo trovare soluzioni reali e non solo attraverso le alternative virtuali. Il teatro, che si tratti di teatro danza, teatro di strada, teatro canzone, cabaret, standup comedy, non può resistere molto in questa dimensione “fredda” senza le persone reali al di là della quarta parete. Si dovrà trovare un’alternativa all’alternativa. Non chiedermi come perché non ne ho idea.
Fase 3 si avvicina. Cosa pensi che rimarrà di tutto quello che abbiamo vissuto nelle due fasi precedenti? Il nuovo album degli Strokes, le freddure di Spinoza e…?
Spero rimanga qualcosa di più. Da un punto di vista lavorativo spero che la solidarietà tra artisti non si esaurisca solo nel mondo virtuale. Da un punto di vista umano spero che le persone che abbiamo saputo tenere vicine anche con questa “distanza sociale” riconoscano la loro importanza nella nostra vita. Temo che i buoni ne usciranno ancora più buoni e i cattivi saranno ancora più stronzi.
E tu dove sarai in fase 3? Progetti nuovi o s’improvvisa come al solito?
Nella progettualità della mia vita, ho sempre fatto di tutto tranne improvvisare. Sono uno di quelli che scrive liste “to do” in modo compulsivo. Elenchi infiniti con tanto di quadratino accanto da barrare. Nella fase 3 comincerò a probabilmente a scrivere le cose che “voglio” fare e depennerò tutte quelle che “devo”.