Il tramonto dell’Occidente e la rivincita dell’Africa

In questi giorni di fine anno, di nuovo immersi nell’ennesimo caos di restrizioni, decreti, chiusure e misure disperate di contenimento, ho provato a tornare indietro, a rileggere e riguardare le notizie che venivano diffuse all’inizio dell’epidemia.

Per provare a ritrovare un minimo di spessore nella riflessione e nel ragionamento, uscendo dal caos della valutazione istintiva, della reazione viscerale. Per provare ad allargare l’orizzonte, temporale e mentale, con cui guardare l’emergenza. E, non da ultimo, per ripescare qualche curiosità magari dimenticata e bilanciare con una risata, tanti mesi di fatica psichica e stress mentale.

Il 12 Febbraio 2020, Roberta Villa, medico e divulgatrice scientifica, affermava che “Questa è un’emergenza seria. L’impatto di salute potrebbe essere spaventoso se il virus arrivasse in Africa o in altri luoghi dove il sistema sanitario non è sufficiente. Attualmente il rischio di diffusione in Europa è basso. […] È una situazione da tenere sotto controllo in Europa, il cui vero impatto sarà in termini socio-economici.”
(Qui potete ascoltare le affermazioni esatte, al minuto 09:30 dell’intervista che Marco Montemagno le fece)

Non sono un medico, un virologo o un qualsivoglia esperto in una di queste materie in voga ultimamente. Sono un ragazzo qualsiasi, uno dei tanti che pensano molto e giungono a poco. Non ho certezze da proporre, soltanto una marea di dubbi, paure e domande che si inseguono.

Lungi da me, quindi, accusare Roberta Villa per le sue parole. È un pensiero, quello sul possibile tragico impatto in Africa, che hanno avuto in tanti, me compreso. Il punto non è averlo detto, ci mancherebbe: c’è una società intera, quella occidentale (Europea, imperialista, capitalista, chiamatela come volete), che ci spinge a pensarci invincibili. E a pensare all’africa come al continente dei poveretti, al luogo della sofferenza, della malattia, al continente arretrato.

Non possiamo ritenerci colpevoli di aver subito un’influenza eurocentrica e supponente. Possiamo soltanto, però, rendercene conto e guardare ai numeri, provando a leggerli per quel che sono e rappresentano.

Nel momento in cui scrivo in Africa ci sono 2.643.656 casi e 62.873 morti (0,005% della popolazione). In Europa 25.233.528 casi e 549.365 morti (0,07% della popolazione). 1:10, su per giù. Non c’è partita.*
E con questa constatazione finiscono le mie certezze.

Perché in Africa muoiono meno? Perché in Africa si ammalano meno?
Forse abbiamo sbagliato strada?
Cosa vuol dire salute?
È giusto aver sconfitto la mortalità infantile se poi dobbiamo aspettare di crepare in un letto di una RSA, malati di Covid, senza poter vedere nessuno?
È sano vivere in città sovraffollate e inquinate?
È sano stare seduti in un ufficio per otto, dieci ore al giorno?
È sana l’obesità?
È sana l’ipertensione?
È sano l’abuso di farmaci?
È sano fumare?
È sano bere?

E chi più ne ha più ne metta. E non voglio fare l’apologia dell’Africa tanto per farla, che poi chissà quante differenze ci sono tra uno Stato africano e l’altro, al punto che forse parlare di Africa non ha senso.

Però non è forse arrivato il momento di smetterla con questo superomismo? Con questa presunzione gratuita che ormai fa acqua da tutte le parti? Non è forse arrivato il momento di tacere, metterci in dubbio e dire: “abbiamo sbagliato tutto”?

Ai posteri, come sempre, l’ardua sentenza.

 

*Si potrebbe obiettare che i due continenti usano sistemi di conteggio molto differenti e che in alcuni luoghi dell’Africa non è possibile stabilire con precisione le cause di morte di una persona e quindi chissà quante sono le vittime di Covid che non sono state tracciate. Ma queste differenze sono tali da giustificare una così enorme sproporzione?

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.