– di Susanna De Candia
Quando, i primi di marzo, il contapassi del mio cellulare mi ha presentato il report mensile di febbraio, ha commentato la mia performance così: puoi darti una pacca sulla spalla!
Per tutto il mese di marzo, nello specifico dal DPCM della sera del 9, mi son chiesta come avrei spiegato al mio contapassi che la mia mobilità – volontaria o necessaria che fosse – avesse subito un repentino blocco o, almeno, un considerevole ridimensionamento. Tant’è che i primi di aprile la app deputata a informarmi sulle mie prestazioni da camminatrice, non ha fatto alcun commento; ha solo riportato grafici e dati numerici, il più evidente dei quali è stata la diminuzione del 69% dei passi effettuati.
Ecco, non so se sono rimasta più imbarazzata di fronte a una intelligenza artificiale che mi ha presentato un risultato puramente numerico o più triste per il fatto che ho perso scenari e vita all’aperto, perché – in fondo – se avessi voluto ingannare l’app, avrei potuto simulare passeggiate in casa.
La verità è che da quando siamo costantemente invitati a restare a casa, non si ha neanche il tempo per circoscrivere tutta l’abitazione (per quanto non abbiamo tutti un castello!). Si passano ore seduti davanti allo schermo di uno smartphone o di un pc tra video-chiamate, video-riunioni, incontri virtuali, più o meno indispensabili, graditi, dovuti.
Il contapassi del mio cellulare non può contare i passi che sta facendo il cuore giorno per giorno, per andare a rassicurare chi combatte, chi resiste, chi sta solo, chi non capisce come tutto sia cambiato di colpo, chi non lo accetta, chi si ribella ma resta a casa, chi si infastidisce ma si sforza di aver pazienza, chi ti sta accanto ma ha bisogno di più spazio.
Non può contare i passi che i miei pensieri compiono per andare a fare compagnia a chi non può avvalersi della tecnologia, a chi resta confinato in una stanza perché studente fuori sede, a chi in questo periodo lavora di più ed è più esposto a rischi nei supermercati e nelle attività commerciali di beni alimentari, nelle farmacie, per le strade, nelle mense, e poi, naturalmente, negli ospedali, nelle strutture sanitarie, nelle Forze dell’Ordine.
Non può contare i passi che le speranze accumulano per sostenere chi ha paura, chi soffre, chi ha perso qualcuno, chi ha problemi economici, chi non può fare a meno del contatto fisico in quanto canale comunicativo quasi esclusivo, chi continua a formare, aiutare, costruire relazioni.
Tutti questi passi il mio contapassi non li può contare, perché non sono misurabili, ma sicuramente percepibili e intercettabili.
Per questo, soprattutto adesso, ci conviene contare – o almeno, mettere in conto, prendere in considerazione – i passi che contano, che si tramutano in slanci di vita.
Diamoci all’amore, quello capace di stringere con gli occhi, di mettere il buonumore con lo sguardo, di offrire visioni nuove, aperte, rigeneranti.
Diamoci alla bellezza, dell’anima e della nostra identità più nuda e meno compromessa ora dalle aspettative degli altri.
Diamoci al presente, che si impreziosisce di piccole gioie riscoperte, di ricordi che riaffiorano o che ci rimandano i social, di rapporti da vivere diversamente.
Contiamo i passi che contano. Per andare verso noi stessi, nel profondo, e verso gli altri.
[Per apprezzare ancora una volta l’opera di Susanna vincitrice del contest di Aware “La bellezza che (r)esiste” clicca qui]