Quando ero piccola, pensavo che la realizzazione di un desiderio fosse una specie di magia.
Non proprio come il genio di Aladino, non così dichiaratamente magica. I desideri lavoravano in modi misteriosi e nascosti, con percorsi difficili da seguire. La realizzazione dei desideri apparteneva al mondo delle cose che non si vedono, ma che si percepiscono nell’aria. E io cercavo di stare attenta a trovare gli indizi giusti.
Una volta, al mare, avevo deciso che se avessi trovato un certo numero di conchigliette bianche con il buco un mio desiderio si sarebbe realizzato. Mi tuffavo su e giù con la maschera, prendevo quelle che trovavo, le tiravo su e controllavo che avessero il buco. Non ricordo quale fosse il desiderio, né se poi avessi trovato il numero giusto di conchiglie. Ma ricordo che ci credevo, a questa cosa. Per quanto mi rendessi conto che fosse strana, mi sembrava di sentire, da qualche parte, che avrebbe potuto essere vera.
Oppure cercavo piccole coincidenze nascoste. Ero sicura che tutti questi dettagli, messi insieme e ben interpretati, mi avrebbero portata ai miei desideri. Non sapevo come, ma lì era la magia. Dovevo crederci e affidarmi all’aria intorno a me.
Non funzionava mai. Perché, oltre a raccogliere conchiglie con il buco e a trovare coincidenze, non mi sforzavo poi di far avverare i desideri. Ci ho messo tanto a capire che questi desideri non accadevano a me e basta, ero anche io a doverli fare accadere. Ma a me, da piccola, non era venuto in mente. E poi, anche da un po’ più grande, al liceo, quando ho iniziato a pensarci, mi venivano sempre in mente strani modi per far accadere i miei desideri. Pensavo sempre che ci sarebbero stati momenti magici e strabilianti che avrebbero alterato la mia vita per sempre. Questi momenti si potevano nascondere dietro a qualunque cosa. Si potevano nascondere dietro a cose che, a prima vista, sembravano piccole e normali.
Se, per esempio, mi sentivo tanto sola e triste, e mi sforzavo di vedere una mia amica per un caffè (nel mio caso un succo, perché il caffè fino ai vent’anni mi ha fatto schifo), mi aspettavo che questa amica mi regalasse la soluzione alla mia tristezza. Mi aspettavo che la mia amica, meno sola di me, mi presentasse su un piatto d’argento la regola da seguire per essere meno sola. E quindi andavo al caffè e rimanevo delusa, perché la mia amica non mi dava nessuna ricetta.
Cercavo di realizzare dei desideri, ma facendo cose che non funzionavano.
Ma non è solo questo. Quando prendevo il caffè con la mia amica per avere la ricetta magica contro la mia tristezza e la mia solitudine, io non mi chiedevo mai se mi piacesse il caffè con l’amica. Non mi chiedevo se mi stessi divertendo o meno. Non pensavo che il semplice fatto di passare del tempo con un’amica divertendomi potesse essere un antidoto alla tristezza e alla solitudine. E quindi non me ne accorgevo. Così, in attesa di un fantomatico desiderio enorme, io mancavo proprio quei gradini che mi ci avrebbero potuta portare. Li mancavo perché non li vedevo, ero già da un’altra parte.
Ero nel mondo dei desideri piovuti dall’aria e raccolti con le conchiglie. Ancora le vedo, delle tracce di questo modo di fare. Le vedo quando noto dettagli che non hanno senso e mi racconto nella testa che ce l’hanno. Le vedo quando aspetto che qualcun altro realizzi i desideri per me. Ma, soprattutto, le vedo quando mi proietto da un’altra parte, già al traguardo, e non vedo i gradini sotto. In questo modo, i gradini esistono solo in funzione del traguardo, perdendo la loro dignità autonoma di gradini. Sono solo pezzetti per arrivare a un punto.
E così, realizzare un desiderio smette di essere il risultato di tanti gradini messi insieme, e diventa solo un obiettivo. Ma non funziona, così come non funzionava il caffè con la mia amica. Non funziona perché anche i gradini devono essere mossi dal desiderio. Se questo non c’è, crolla tutto.
Solo che io continuo ad avere paura dei gradini del presente e a trovare conforto nelle conchiglie con il buco che mi dovrebbero indicare il futuro.
Ma, in realtà, le conchiglie con i buchi avevano anche un’altra funzione: le usavo per fare i braccialetti, facendo passare i fili dentro al buco. Oltre a essere un segno, erano anche utili e carine.
Forse questa è una soluzione: tenere le due cose insieme.
Ieri ho visto un arcobaleno enorme, tutto intero, non lo vedevo da tantissimo tempo. Ho pensato: “È un segno!”. Poi mi sono detta: “Vabbè, è anche bello.”
Magari le cose possono essere nello stesso tempo gradini e conchiglie con il buco.
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