Fuga dall’Ucraina: impressioni dalla stazione – Parte 3

Quando ha sentito della guerra scoppiata in Ucraina, Sara è stata avvolta da un gelido terrore. Poi ha deciso di attivarsi per accogliere quanti in fuga dal paese. Ecco la terza pagina del suo diario di accoglienza dalla stazione di Amburgo.

Quelle qui riportate sono brevi storie di persone incrociate alla stazione centrale di Amburgo, dove l’autrice fa da volontaria in un’associazione chiamata ASB per supportare e coordinare l’arrivo e il viaggio di chi cerca rifugio dalla guerra in Ucraina. Ogni giorno, dei volontari si danno il cambio in turni di 3-4 ore in cui viene prestato un servizio di accoglienza (dando cibo, acqua e altri servizi essenziali come i gettoni per i bagni) e di assistenza che include l’aiuto con il trasporto verso luoghi sicuri. Per fare ciò, chi sa parlare russo o ucraino si mette ad ascoltare quello che viene richiesto dalle persone in arrivo, cercando di coordinare il restante viaggio insieme a Deutsche Bahn, la compagnia di treni tedesca di proprietà statale (un po’ come l’italiana Trenitalia) che si offre da tramite per il trasporto delle persone attraverso la Germania. Per questo, all’associazione è stata assegnata una piccola stanza proprio accanto al “Reisezentrum”, ossia la biglietteria della stazione, con qualche sedia e attrezzata con acqua calda, prese della corrente e panini fatti al volo dai vari volontari. Gli “interpreti”, gruppo di cui l’autrice fa parte, sono perlopiù persone di origine russa che sono da molti anni in Germania o all’estero.

Fin dai primi momenti della guerra, il flusso migratorio di persone dall’Ucraina verso altri Paesi Europei è stato incredibilmente massiccio. Per fare fronte alle ovvie difficoltà che si presentano durante un viaggio del genere, moltissime persone si sono rese disponibili ad aiutare in ogni modo possibile. Ad Amburgo, l’associazione di volontariato a cui chi scrive ha iniziato a fare parte, proprio per prestare soccorso a chi è in arrivo, ha organizzato il coordinamento non solo in stazione, ma anche di raccolta di soldi, vestiti, cibo, mobili, e chi più ne ha più ne metta, per far fronte alle esigenze delle persone.

Qui sotto, una cartina dell’Europa centro-orientale per orientarsi con alcuni dei posti indicati nei vari racconti, e per tenere a mente la distanza percorsa in treno dalle persone in fuga dalla propria città

La mappa dei luoghi citati nell’articolo.

Un’altra serata difficile alla stazione. Tanta gente in difficoltà per svariati motivi. Primo tra tutti ovviamente il fatto di essere ancora in giro senza una sistemazione definitiva. Ma il secondo peggior problema di queste persone pare essere Deutsche Bahn che, con le sue regole fatte di eccezioni, impossibili tra tradurre in maniera sensata e soprattutto dipendenti dalla volontà e dal buon cuore delle persone, rende praticamente impossibile prevedere l’esito di qualunque conversazione a base di “Mi serve un treno per…”.

Arriva una donna con la figlia adolescente solo per dirci che i biglietti a pagamento li fanno fare solo ad Amburgo, e da nessun’altra parte. Le spiego con pazienza che no, la regola è una (anche se poco chiara) e che sono piuttosto le persone ad applicarla in maniera diversa. Non c’è storia, lei insiste e vuole assolutamente che io dica a tutti gli altri che i biglietti da Berlino sono gratuiti, e che bisogna pagare solo la tratta da Amburgo a Berlino. Mi oppongo con tutte le mie forze, ma nonostante tutto, non arriviamo a un compromesso. Se ne va insoddisfatta, e io già senza forze. Passo poi tutta la mattina seguente a rincorrere Deutsche Bahn con ogni mezzo possibile per cercare di capire quale regola si applica, abbastanza invano.

Arriva una famigliola composta da madre, nonna e figlio appena adolescente. La madre ha un apparecchio per l’udito, non ci sente bene ma parla velocissimo. Devo pregarla di parlare più lentamente. È anche molto agitata: devono andare a Parigi per raggiungere il gruppo con cui viaggiano, che però è partito un giorno prima di loro. Partivano da Copenhagen, dove hanno assicurato loro che ad Amburgo avrebbero ottenuto un biglietto gratuito. È sera, sono quasi le 9, orario di chiusura del Reisezentrum. La donna al controllo per i biglietti prende i documenti, guarda la data di arrivo sul passaporto ed esclama “Sono già da 10 giorni in Danimarca, perché vogliono andare in Francia? Cosa hanno fatto tutto questo tempo?“. Io rimango interdetta. Non reagisco, non realizzo subito. Non trovo le parole per rispondere, non mi colpisce nemmeno troppo lì per lì, ma queste parole mi rimbombano nella testa da giorni, e mi fanno salire una rabbia cieca. Al momento, cerco solo di trovare una soluzione alternativa, chiedo solo se ci sarebbero treni comunque a quest’ora e mi dicono che no, comunque fino a domattina non parte nulla. Quindi affronto la parte più difficile dell’informare la famiglia della cosa. La madre è agitatissima, la signora anziana più pacata ma comunque sembra non essere lucida abbastanza per prendere decisioni. Il ragazzino, sui 13-15 anni, è quello che più mi ascolta con attenzione e sembra capire razionalmente che serve trovare un’alternativa per la notte. I suoi nervi sono però messi a dura prova non solo dalla situazione, ma dalla frustrazione dell’età e dell’essere in giro con una mamma che non ci sente e con la nonna. Glielo leggo in faccia. Gli scendono lacrime di rabbia all’ennesima domanda della madre. Mentre cerco una soluzione parlando con la team leader, li vedo andare via con un altro volontario. Torneranno poco dopo di nuovo sconfortati, e non conosco la fine della loro storia ma spero siano riusciti ad andare avanti. 

Accompagno una signora anziana con due bambine e un paio di grosse valigie al binario. Le ho spiegato che deve prendere il treno per Hannover, e da lì deve cercare il bus che la porterà al centro di accoglienza riservatole. Lei manifesta il suo disagio, vorrebbe poter arrivare in treno direttamente al posto, ha paura di perdersi, e io non so con certezza se ci sono volontari in stazione. Penso di sì. Cerco di spiegarle la strada, di rassicurarla, e probabilmente mi sente così affranta e dispiaciuta nel non poterla aiutare di più, che mi fa una carezza al braccio per consolarmi.

Arrivano tre donne in agitazione, mi dicono che una di loro è (visibilmente) incinta di 8 mesi e che serve loro un posto e un ospedale. Avviso la team leader, che chiama Renée, il capogruppo di ASB1 Amburgo, e riesce a trovare una famiglia disposta a ospitarle. Ora dovranno solo aspettare un po’ mentre Renée porta un’altra famiglia, e poi le verrà a prendere. Nel frattempo, si riposano e si mettono a mangiare. Dò loro informazioni, una di loro chiede per la sim card tedesca e io la accompagno a prenderla. Mi racconta che sono in viaggio da 5 giorni, vengono da Chernihiv, città a pochi km dai confini con Russia e Bielorussia, e hanno deciso di scappare solo ora perché speravano che la situazione si tranquillizzasse. Ma così non è stato, anzi, negli ultimi giorni le cose sono peggiorate. Così sono partite, prima per Kiev, poi Leopoli, attraverso la Polonia e infine ad Amburgo. Hanno avuto paura che potesse succedere qualcosa al bambino. La donna me lo racconta con le lacrime agli occhi quando pensa a cosa ha lasciato, si chiede cosa troveranno al ritorno, se ci sarà ancora qualcosa. 

Una ragazza in sedia a rotelle chiede come fare per il bagno. Io e Andrey le spieghiamo che servono dei gettoni, o di solito le monete, al che Andrey tira fuori un cinquanta cent per mostrarle un esempio. Lei prende la moneta, la esamina interessata, e con nonchalance se la mette in tasca.

Due mamme con tre bambini chiedono qualcosa di caldo da mangiare. Vengono dati loro dei vouchers per prendere cibo in un ristorante lì vicino e quindi le accompagno per mostrare dov’è il posto. Parlano ucraino principalmente, e una delle due mi risponde in inglese molto spesso, nonostante mi dica che il suo inglese non è granché. Ho la sensazione che cerchi di evitare di parlare russo senza dirlo apertamente, così faccio del mio meglio per gestire la cosa, dato che invece l’altra non parla inglese (o perlomeno mi chiede di continuare in russo).

Un signore sulla settantina con solo un bagaglio fatto di un sacchetto nero di plastica viene fermato all’ingresso del centro. Il tipo della DB2 chiede dove vuole andare, l’uomo evidentemente non capisce. Io sono in coda con un altro ragazzo, ma sento e salto nella situazione, chiarisco dove vuole andare l’uomo. Il tizio della DB sembra solo ora capire che l’uomo è ucraino e che non parlava né tedesco né inglese (come se fosse una sorpresa, dopo un mese e mezzo di guerra e di rifugiati). Dopo aver aiutato l’anziano a ottenere il biglietto per Copenhagen, gli spiego dove andare e quando. Lui mi ascolta e poi mi chiede “ma ancora è gratis il biglietto?”. Date le mille lamentele di questi giorni, cerco di iniziare a spiegargli che sarà gratis solo verso una destinazione, non sempre, ma lui come sorpreso mi dice “dall’Ucraina alla repubblica Ceca era gratis, poi da lì alla Germania gratis, adesso ancora fino alla Danimarca gratis…” e capisco che non era una lamentela ma una sorta di sorpresa gratitudine.

Una famiglia di tre adulti (madre e padre più forse una zia) e due bambini, sono sordomuti. Solo uno dei due bambini, che avrà sugli 8 anni, ci sente, sa parlare e riesce quindi a comunicare con noi volontari, facendo da interprete per tutti con il mondo esterno. La faccia del bambino è calma e impassibile, non sembra avere 8 anni da come si comporta. La famiglia è incredibilmente armoniosa nonostante la situazione. Devono andare a Verona con il treno che fa tappa a Monaco. Come quando devo tornare a casa io, dai miei genitori. 

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1 ASB (Arbeiter-Samaritaner-Bund) è l’associazione tedesca di volontariato che si è fatta carico del coordinamento e la gestione dell’arrivo dei rifugiati ucraini in stazione ad Amburgo.

2 Abbreviazione ufficiale di Deutsche Bahn.

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* Sara condivide sul magazine di AWARE una nuova pagina del suo diario di attivismo ogni settimana. Per leggere l’articolo della scorsa settimana clicca qui.

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