Quelle qui riportate sono brevi storie di persone incrociate alla stazione centrale di Amburgo, dove l’autrice fa da volontaria in un’associazione per supportare e coordinare l’arrivo e il viaggio di chi cerca rifugio dalla guerra in Ucraina. Ogni giorno, dei volontari si danno il cambio in turni di 3-4 ore in cui viene prestato un servizio di accoglienza (dando cibo, acqua e altri servizi essenziali come i gettoni per i bagni) e di assistenza che include l’aiuto con il trasporto verso luoghi sicuri. Per fare ciò, chi sa parlare russo o ucraino si mette ad ascoltare quello che viene richiesto dalle persone in arrivo, cercando di coordinare il restante viaggio insieme a Deutsche Bahn, la compagnia di treni tedesca di proprietà statale (un po’ come l’italiana Trenitalia) che si offre da tramite per il trasporto delle persone attraverso la Germania. Per questo, all’associazione è stata assegnata una piccola stanza proprio accanto al “Reisezentrum”, ossia la biglietteria della stazione, con qualche sedia e attrezzato con acqua calda, prese della corrente e panini fatti al volo dai vari volontari. Gli “interpreti”, gruppo di cui l’autrice fa parte, sono perlopiù persone di origine russa che sono da molti anni in Germania o all’estero.
Fin dai primi momenti della guerra, il flusso migratorio di persone dall’Ucraina verso altri Paesi Europei è stato incredibilmente massiccio. Per fare fronte alle ovvie difficoltà che si presentano durante un viaggio del genere, moltissime persone si sono rese disponibili ad aiutare in ogni modo possibile. Ad Amburgo, l’associazione di volontariato a cui chi scrive ha iniziato a fare parte, proprio per prestare soccorso a chi è in arrivo, ha organizzato il coordinamento non solo in stazione, ma anche di raccolta di soldi, vestiti, cibo, mobili, e chi più ne ha più ne metta, per far fronte alle esigenze delle persone.
Qui sotto, una cartina dell’Europa centro-orientale per orientarsi con alcuni dei posti indicati nei vari racconti, e per tenere a mente la distanza percorsa in treno dalle persone in fuga dalla propria città.
Una ragazza e un ragazzo mi fermano alla fine del turno. Iniziano a farmi domande sulla registrazione, io spiego loro quello che so. La ragazza sembra una sorta di influencer locale, con i capelli biondo platino, cappellino e trucco. È entusiasta del mio russo, mi dice che sembra quello di una persona che vive da tanti anni all’estero, non si sente l’accento. Ci si mette a chiacchierare, mi chiede se sarò lì anche nei prossimi giorni, e penso che sia triste che non ci siamo scambiate il numero, sembrava davvero simpatica e un’amica in più non fa mai male.
Una donna sui 40 anni con sua figlia adolescente mi chiede dove possono passare la notte in attesa del giorno successivo, quando dovranno prendere il treno per Kiel. Le porto in un ristorante accanto alla stazione, ora in uso per accogliere gente che deve aspettare il treno durante la notte e non vuole rimanere in stazione al freddo. La guardia notturna ci accoglie, e io spiego che qui possono riposarsi, hanno materassini e coperte, e cibo e i bagni a disposizione. I materassini sono molto sottili, dice la guardia. “Sì, come in Moldavia”, dice con un mezzo sorriso la donna.
Un ragazzino e una signora (sua zia?) devono prendere un treno per una cittadina tedesca, verso le 7 di domenica sera. Li accompagno al binario, porto la borsa alla signora e spiego loro come fare il cambio. Poi chiedo loro come mai vanno proprio in quella cittadina, se hanno per caso conoscenti o parenti. Il ragazzino mi dice “Siamo rifugiati ucraini, ci hanno dato questo indirizzo per vivere lì momentaneamente”. Non sapevo che Amburgo non prendesse più gente.
Un ragazzo che sembra un po’ alticcio si avvicina e mi chiede qualcosa. Incespico un po’, e lui molto diretto mi fa “Fammi parlare con qualcuno che sappia meglio il russo”. Lo mando da un’altra volontaria. Tre giri di volontari dopo, Andrey* torna dalla chiacchierata con lui e mi dice “Non sembrava che capisse molto quando parlavo”.
Un ragazzo e una ragazza mi chiedono se possono parlare in inglese con me. Sono due studenti, lui indiano e lei non capisco da dove, stavano facendo l’università in Ucraina. Sono stati mandati qui perché Berlino è al limite della capacità. Mi fanno mille domande, tra cui se sarà possibile ricominciare gli studi qui senza perdere i corsi fatti.
Una donna e un uomo sui 50 anni, visibilmente benestanti ma scappati come potevano, mi chiedono aiuto su dove possono trovare un posto per qualche giorno. Do loro un foglio con indicati vari siti verificati in cui si possono trovare persone che si propongono per ospitare per qualche tempo chi ne ha bisogno. La donna, dopo un po’, mi chiama per farmi fare una chiamata al signore tedesco che ha messo un annuncio che le pare adeguato. La rassicuro sul fatto che sia affidabile, ma le faccio notare che potrebbe essere un problema non avere una persona che traduce. Le dico che ci sono persone nella nostra associazione che lo possono fare per telefono di tanto in tanto, per aiutare se ci sono difficoltà, ma che potrebbe comunque non essere l’ideale. Lei è smarrita, non sa che fare. Due ore dopo, quando finisco il turno, è ancora smarrita, seduta su una sedia del “Reisezentrum”. Mi sento di aver sbagliato a toglierle questa possibilità, ad averla fatta dubitare di sé.
Due ragazze ucraine sui vent’anni in fila per avere un biglietto che le porterà alla loro prossima destinazione. La donna al banco informazioni prepara i biglietti. Le due ragazze, mentre aspettano, si abbracciano, si baciano, e una mormora all’altra sorridendo: “Almeno qui è permesso…”.
Un signore sui 50 anni con gravi problemi di vista (“invalid”, invalido, mi dice come per giustificare che non è a combattere) mi inizia a raccontare la sua storia mentre siamo in fila per il biglietto del treno fino a Oslo, la sua destinazione. Vedendoci poco, tende ad avvicinarsi molto mentre mi parla di come, secondo lui, tutta la storia del Coronavirus sia un’invenzione.
Una signora sui 50 anni vuole avere un biglietto per Berlino. Le chiedo come mai vuole tornare a Berlino, che è piena di gente e le persone vengono mandate comunque altrove. Mi risponde che lei vuole in realtà andare in Francia, a Parigi, ma non essendo sicura di trovarci dei volontari che parlino russo o ucraino, vuole tornare a Berlino per chiedere ai volontari di lì se loro lo sanno. Provo con gentilezza a farle notare che ci sono altri metodi per scoprirlo, rispetto a farsi centinaia di km in treno solo per chiedere un’informazione. Ad esempio, potrebbe cercare una chat su Telegram e informarsi lì. Lei non vuole, vuole tornare a Berlino e chiedere ai volontari. Mi chiedo quale diritto ho di insistere e cercare di farle cambiare idea. Non mi riesco a dare una risposta in tempo, e la accompagno semplicemente alla cassa.
Una donna chiede in una chat di gruppo se è possibile prendere un treno da Amburgo per Varsavia. Le rispondo che è possibile solo a pagamento. Mi chiama. Mi dice che sua nonna vuole tornare in Ucraina. Le chiedo in quale città. Dnipro. Non è importante che si paghi o no, vuole tornare in Ucraina, a casa.
*Il mio ragazzo, che è russo madrelingua.