Pensi alla musica afrobeat e poi ad Antonello Venditti e poi ancora a Ken Saro-Wiwa e ti chiedi cosa possano avere mai in comune. Noi la risposta l’abbiamo trovata in Karima DueG: cantate, musicista, dj e attivista con una lunga esperienza artistica alle spalle fatta di ricerca, ritmo e denuncia. Nel suo ultimissimo singolo “Alzati” Karima racconta e si racconta per la prima volta in italiano, scoprendo un “nuovo mondo” ricco di orizzonti.
Karima DueG sarà ospite e protagonista del nostro Festival delle Cose Belle – Ferragosto Resistente 2021 con un live eclettico nella serata del 13 agosto. Nell’attesa di vivere l’intreccio di parole e beat della sua esibizione, l’abbiamo incontrata per conoscere di più della storia (e delle storie) che ogni ascolto della sua musica sembra svelare.
Il tuo primo album 2G uscito nel 2014 è dedicato a tutti gli immigrati di seconda generazione, come te, con lo scopo di non far perdere la coscienza delle proprie radici. C’è mai stato un momento della tua vita in cui hai percepito di aver smarrito l’appartenenza alle tuo origini?
Un momento in cui ho percepito di aver perso le mie origini non c’è mai stato perché le mie origini le ho sempre sentite molto presenti fin da bambina. Non c’è stato un giorno in cui ho pensato che non ci fossero, mi guidano fortemente ogni giorno. Non ti nascondo che ci sono stati dei momenti in cui vivevo queste origini come una invasione, dal momento in cui non sapevo come gestirle inizialmente. Avrei voluto negarle perché temevo una crisi identitaria, ma poi ho realizzato che non ci si può scappare dalle proprie radici, perché sono loro a dirti chi sei.
Il tuo brano Orangutan nasce dalla vicenda dell’insulto del ministro Roberto Calderoli nei confronti dell’allora ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge avvenuto nel 2013. A tal proposito in una tua recente intervista dici “Ci sono rappresentanze importanti come calciatori, ministri, ecc. che potrebbero far sentire la loro voce e non lo fanno. Questo mi fa rabbia”. A tuo avviso al giorno d’oggi questo atteggiamento è frutto di mera omertà o cela qualcosa di più profondo all’interno?
Si, ricordo quell’intervista. All’epoca era quello che pensavo e provavo tanta rabbia inizialmente. Penso che quell’atteggiamento derivasse da qualcosa di più profondo, di più interno, come la paura di rappresentare le cosiddette minoranze, rendendole visibili. Credo che soprattutto in seguito alla morte di George Floyd, le cose sono cambiate. Oggi ci sono molti più personaggi che si stanno facendo sentire, e le loro voci, le loro parole stanno lasciando il segno.
Molti affermano che l’Italia non è un paese razzista. Cosa ti senti di rispondere a questa affermazione?
Ho smesso di rispondere 🙂 Da una parte, li capisco. Non è facile per loro accettare che il proprio paese è razzista. Dall’altra, credo anche che non si può generalizzare. Affermare che un paese è razzista rischia di creare odio anche in chi al razzismo non ci pensa: il classico gioco dei Media. Come ho detto in delle precedenti interviste, il razzismo c’è sempre stato e non so se ci sarà mai una fine. Il problema è l’uomo. Ho imparato molto dal razzismo e oggi ringrazio, in lui vedo bellezza.
I testi delle tue canzoni sono in inglese o meglio in Pidgin English, che è la tua lingua madre. Tuttavia nel tuo ultimissimo singolo Alzati hai deciso di cimentarti nell’italiano. A cosa è dovuta questa tua ultima transizione artistica? Possiamo ritenere Alzati la tua prima confessione spirituale diretta all’Italia e gli italiani?
Ho sempre voluto cantare in italiano in realtà. Ci ho provato diverse volte ma poi per un motivo o per un altro, cancellavo i testi. Il Pidgin English prevaleva ed era più forte di me cantare in pidgin English. Sicuramente è avvenuto qualcosa durante il lockdown, un periodo in cui ho ascoltato veramente tanta musica. Li, ispirata da artisti come Mimu Fresh, Black Tought, Akua Naru, e molti altri, ho ripreso in mano i miei quaderni e qualcosa mi ha detto che era arrivato il momento di scrivere nella mia lingua nativa, l’Italiano. Vogliamo chiamarla confessione spirituale? Be’ non posso negare che la mia fede ed il credere che tutto può evolversi si siano amplificati. Il mio nuovo singolo “Alzati” e’ rivolto a tutti, a prescindere della propria nazionalità.
Arrangi in maniera totalmente indipendente i tuoi brani o collabori anche con altrə artistiə?
In passato, come nell’album “2G”, componevo e arrangiavo i miei brani in maniera totalmente indipendente. Come si dice a Roma “me la cantavo e me la suonavo”. Prima spaziavo dall’afro worldbeat al footwork di Chicago passando per lo UK funky. In questo ultimo anno, ho iniziato a collaborare con alcuni musicisti Luca Masotti, Luca Bellanova, Lorenzo Nanni, e Angelo Nobili che mi hanno guidata verso altri suoni e nuovi mondi musicali. Come potrete notare in Alzati, il singolo estratto dal mio prossimo album di uscita Libera, è iniziato un nuovo percorso.
Ci puoi suggerire due album, uno africano e uno italiano, che in qualche modo hanno segnato la tua identità artistica?
Uno degli album africani che mi ha segnata è sicuramente “Masada” di Alpha Blondy. La canzone che porto nel cuore e che non manca occasione di ascoltare con la mia famiglia, è “Peace in Liberia” dedicata al mio paese di origine. Suggerisco di ascoltare tutti i suoi album, era un King in ogni suo pezzo.
Della musica italiana invece, non posso dire che ci sia stato un album che mi abbia segnata in particolar modo. Sembrerà assurdo, ma l’unico album che mi ricordo tra i centinaia di vinili di mio padre, era “Benvenuti in Paradiso” di Antonello Venditti. I miei lo amano Venditti perché gli ricordano gli anni in cui sono arrivati in Italia. Di conseguenza, lo ho amato ed ascoltato tanto anche io.
Nina Simone diceva “You don’t have to live next to me / Just give me my equality”. Ti rispecchi in questo pensiero?
La regina Nina Simone aveva ragione. Si decisamente direi! Mi rispecchio molto in questo pensiero.
Giorgio Gaber cantava “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Dal tuo lato, esiste qualcosa nel nostro paese che ti fa molto pentire di essere italiana? Viceversa, esiste qualcosa che ti rende molto fiera di esserlo?
Bella domanda 🙂 Partiamo dal presupposto che prima di diventare italiana ci sono voluti più di 18 anni. Quindi da qua a sentirmi Italiana ce n’è voluto di tempo. Non so se la definirei come una piena fierezza, ma la gioia di “identificarmi” come italiana è scattata all’arrivo del passaporto Italiano.
Prossimamente ci farai compagnia tra i faggi di Passolanciano al “Festival delle Cose Belle”. Cosa ci regalarai al tuo concerto: un ritorno alle radici o la scoperta di un nuovo mondo?
Grazie, non vedo l’ora! Voglio donarvi entrambi: la mia Africa ed il mio nuovo mondo.
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