Sono assente da un po’.
Assente da questo spazio virtuale, assente da chat e conversazioni, da impegni sociali e faccende della vita. Cioè, la vita lì fuori, quella dai contorni lineari e da diritti e doveri ben precisi.
Sono distante.
Distante anche dalle persone che mi vogliono bene e che forse si aspettano qualcosa da me, qualcosa che da questa distanza abissale non riesco a dare. Spero capiscano, spero che sappiano che prima di tutto sono distante da me stessa ed è da qui che cominciano e si articolano tutte le altre distanze.
Sono tornata a casa dopo 5 mesi. Pensavo che il peggio fosse passato, che cazzo, la quarantena, l’ansia, le notizie sul mondo a rotoli, la difficoltà di tornare ad una parvenza di “normalità”. E invece mi sto rendendo conto che l’onda d’urto, per me, è arrivata solo ora. Non ne conosco i motivi, o forse sì, ma ho davvero voglia di pensarci?
Lascio che a pensarci sia l’altra me, quella che non sopporto, quella che mi divora il cranio da anni con le sue sparate, i suoi cambi d’umore, la sua inaccessibilità, le pretese, gli scoppi di impulsività e subito dopo quell’indifferenza gelida che mai capirò. Ha senso quello che sto dicendo? Con chi sto parlando? Chiedo a lei anche questo.
Lei ride e mi risponde che sono una povera cogliona che quasi quasi stava meglio chiusa in casa, a sguazzare nell’incertezza e nel panico in cui il mondo era precipitato, perché almeno corrispondeva in qualche modo al panico interiore, finalmente “materializzato”, in un certo senso. Mi sento orribile, o è lei a sentirsi così?
Ha detto quella parola, “casa”, in un tono talmente duro. Casa. Ora sono a casa… o l’ho lasciata indietro? Dov’è casa mia? Devo ancora incontrarla o forse non esiste per quanto mi sforzi di cercarla e dunque non mi resta che inventarla, costruirla da me? Quanta fatica mi costerà quest’operazione? Ci riuscirò?
D’improvviso lei si fa triste. La vedo. Cerca di nascondersi dietro la rabbia, l’odio, quel sorriso un po’ sarcastico che non riesce però più a mantenere.
Io ti conosco. Io mi conosco.
La vedo improvvisamente farsi molle in viso, abbandonare quell’espressione da gatta selvaggia, indurita dalla solitudine e dal bisogno di sopravvivere, da quella libertà rincorsa che alla fine diventa un vizio velenoso. Mi viene vicino, si sdraia accanto a me, mi abbraccia. Sento le sue guance umide contro le mie. I nostri capelli si intrecciano tra loro e in un attimo non sappiamo più dove finisca l’una e cominci l’altra.
Casa è dove sono con te, mi sussurra. Fammi tornare, ti prego.
Illustrazione: @shaza.wajjokh (IG)
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