Il mio rapporto con la concentrazione è stato costellato da avvenimenti e pensieri diversi nel corso del tempo.
Da piccola mi concentravo sempre, ma avrei voluto non concentrarmi mai. Avrei preferito essere speciale come i miei compagni di classe che non riuscivano a stare attenti e non facevano i compiti.
Da un po’ più grande, al liceo, ho continuato a essere attratta dalla mancanza di concentrazione. Essere distratti mi sembrava una caratteristica bellissima. Sognavo di sentirmi dire “hai proprio la testa tra le nuvole”, lo consideravo un grande complimento. Quando veniva rivolto a qualcun altro diventavo invidiosa. Mi sembrava che la descrizione di persona con la testa fra le nuvole venisse sempre attribuita a chi si considera particolare. Persone che si guardavano con un sorriso ammirato e gentile.
Chissà quante cose bellissime stavano facendo in quella testa persa tra le nuvole. Noi altri, invece, eravamo ancorati a terra.
Essere distratti mi pareva meraviglioso. Io, invece, finivo i compiti nel tempo stabilito, non perdevo tempo inutile, non mi distraevo a vedere serie tv se dovevo studiare, né leggevo libri per piacere se ancora non avevo finito. A volte la mia amica Francesca mi chiamava la domenica sera per confrontare la versione per il giorno dopo. Lei la stava facendo in quel momento, perché aveva passato ore a vedere una serie tv. A me questo non sarebbe mai accaduto.
Io non mi distraevo mai. Io continuavo ad andare dritta finché non arrivavo alla fine.
Allo stesso tempo, però, c’era qualcosa che non combaciava con questa mia grande attenzione: io perdevo tutto. E questa continua perdita mi pareva un po’ strana per una persona così concentrata come me. Mi disperavo tutte le (tante) volte in cui scoprivo di non avere più il portafogli o quelle in cui abbandonavo il mio cellulare in giro per Roma. Ma poi succedeva una cosa bellissima: qualcuno, commentando questo mio comportamento, diceva “hai proprio la testa tra le nuvole”. E allora io, per qualche attimo, pensavo che non fosse poi così terribile.
Ma qualcosa sembrava non combaciare. Come era possibile che io avessi la testa tra le nuvole, proprio io che ero così concentrata?
Con il tempo ho capito che quella che a me sembrava concentrazione era più che altro un’ossessione. La mia amica che vedeva un’intera stagione di una serie tv non aveva meno attenzione di me, ma sceglieva di rivolgerla ad altro piuttosto che alla versione di greco.
Se lo avessi fatto io, sarei stata divorata dai sensi di colpa e dalla sensazione di fallimento.
E quindi continuavo ad andare avanti nella mia concentrazione rassicurante.
Qualche anno fa, però, ho fatto una scoperta: non è vero che non perdo la concentrazione, anzi.
E questa deconcentrazione non è bella né speciale. Non è quel poetico stare con la testa tra le nuvole, ma assomiglia di più al gesto di afferrare il cellulare senza alcun motivo mentre sto facendo altre cose.
Da quando l’ho notato, ho iniziato a cercare di risolverlo.
Ho fatto qualche passo avanti, ma mi sono resa conto della potenza nascosta della concentrazione solo qualche giorno, quando ho dovuto studiare per un esame e, per una volta, non avevo bambini a cui fare lezione, non avevo motivi che mi spingessero a fare cose diverse dallo studio. Mi sono ricordata di quando studiavo al liceo e all’inizio dell’università. Mi sono ricordata di giornate intere in cui subivo una trasformazione e diventavo una macchina che legge, sottolinea, ripete. E poi di nuovo, e ancora e ancora.
Ho iniziato a farlo di nuovo e ho scoperto di ricordare molto bene come si fa.
Ho provato l’ebbrezza dello studio continuo, senza sosta, che va dritto al punto. I contorni di quello che io pensavo e volevo e temevo e credevo si sono dissolti tutti, uno dopo l’altro, inghiottiti dalle pagine.
Mi sono ritrovata ad annullarmi dentro alle pagine e mi è piaciuto tantissimo. Mi sono appassionata a quello che stavo facendo. Mi sono concentrata in modo totale.
Ma tutto il resto che c’era intorno si è cancellato. Tutto è stato spazzato fuori dal mio guscio di studio e concentrazione. Pensieri difficili da gestire, progetti, idee. Notizie che mi angosciano, notizie che mi incuriosiscono, quello che dicono le altre persone.
È vero che molte cose non posso risolverle così, su due piedi. Le notizie che mi angosciano (per il 90% notizie sul clima) non verranno elaborate e risolte da me nel giro di un pomeriggio, certo. Ma rifiutarsi di farle entrare nella mia testa non mi dà neanche la possibilità di capire cosa fare.
Riemersa dallo studio, mi sono sentita un po’ ubriaca. Da una parte mi sono sentita piena, imbevuta di qualcosa che non mi ero fatta scivolare via. Dall’altra, però, ho scoperto che tutte le cose che avevo eliminato erano restate in agguato.
Sono stata tentata di intrufolarmi subito in qualcos’altro di totalizzante, ma ho resistito.
Forse la vera concentrazione è non avere bisogno di qualcosa di totalizzante per concentrarsi davvero.