– di Margherita Pacifico
Margherita, volontaria in Brasile per l’Associazione Papa Giovanni XXIII, ci racconta come sia cambiata la sua percezione verso la frase “Aiutiamoli a casa loro”. Uno spunto per scoprire la complessità dell’aiutare al di fuori dei propri confini, lontani da casa, sorretti dalla sola convinzione che sia giusto.
Sono qui in Brasile ormai da 8 mesi.
Dico Brasile e mi viene in mente una donna molto bella ed alta. La sua pelle non ha un colore preciso, perché non è né bianca né nera, i suoi capelli non sono né afro ne lisci né tanto meno biondi o neri. È una donna con un passato pieno di violenze fisiche, i cui figli sono stati fatti schiavi, e molti di essi pur di non affrontare le atrocità del violentatore hanno deciso di uccidersi.
Quando ero in Italia, quante volte sentivo dire: «Aiutiamoli a casa loro». Una frase facile da dire, quasi banale, quasi sempre pronunciata con un fondo di disprezzo o critica da parte di chi in realtà chiede di aiutare qualcuno a casa nostra. Da quando sono qui in Brasile, dove sto svolgendo un anno di servizio civile, la mia prospettiva rispetto a questa frase però è maturata divenendo più consapevole. In questa terra così grande, che contiene 26 Stati, dove tutti parlano la stessa lingua, e dove però è immediato vedere quanta violenza subiscano le persone, mi dico: proviamo a considerare il concetto di “Aiutiamoli a casa loro” in un’ottica diversa, magari in modo positivo.
Per quello che ho potuto osservare, qui in Brasile il diritto alla vita, che ritengo fondamentale per ogni persona, non sembra essere così importante. Qui si uccide per gioco, e le vittime di queste sparatorie spesso sono giovani appartenenti alla comunità nera. In questo stato dell’America Latina, dove questo diritto alla vita sembra essere stato dimenticato, lo stesso presidente Bolsonaro ha dato il via libera al possedimento delle armi in casa per legittima difesa, e ora sta cercando di mettere su scuole militari.
In alcune ricerche svolte nel 2016 si dichiara che ci sono più morti in Brasile che nella Siria in guerra, e che spesso quando c’è una sparatoria, chi è coinvolto è una persona che fa parte del corpo militare, quell’organo che dovrebbe difendere i più deboli ma il più delle volte risulta essere corrotto o preferisce far finta di niente. Qui in Brasile, inoltre, capita che una ragazza decida di prostituirsi perché, tra le alternative che le offre la vita, quella è la migliore, e lo stato che dovrebbe tutelarla e difenderla se ne disinteressa completamente.
Per un po’ di tempo mi sono domandata come mai mi è stato chiesto di lavorare, nell’ambito del mio servizio civile, proprio in questo Stato così grande, pieno di contraddizioni e di cambiamenti politici. Ho pensato che in fondo, alla provocazione “Aiutiamoli a casa loro”, io come centinaia di altre persone ho risposto decidendo di provare a farlo. Questo non tocca la spinosa questione dell’aiutare chi è straniero a casa nostra. Il nostro compito prescinde da cosa avviene a casa nostra, noi proviamo a fare il possibile per i più deboli a casa loro, laddove non è neanche garantita la difesa dei diritti fondamentali come quello della vita.
Non posso affermare che sicuramente ci riusciremo, ma solo dire possiamo e dobbiamo provarci.