“La pacchia è finita” per le quasi 200 persone – tra cui 80-90 bambini e bambine – sgomberate dall’ex scuola di via Cardinal Capranica nel quartiere di Primavalle (Roma), in un’operazione che ha visto un dispiego di forze impressionante: una cinquantina di blindati della polizia e centinaia di agenti in tenuta antisommossa, arrivati davanti lo stabile alle ore 23.00 del 14 luglio, determinati ad allontanare dall’edificio le famiglie che nel frattempo si erano asserragliate sul tetto e che hanno resistito fino al giorno dopo, quando l’operazione si è conclusa. Risultato? Delle 199 persone circa, 145 pare abbiano accettato le “soluzioni” alternative proposte. Le restanti? Non lo sappiamo. Non lo sanno nemmeno loro. Da ieri sono probabilmente in strada. Così, dall’oggi al domani, persone che hanno abitato per quasi 20 anni l’ex scuola protagonista dell’ennesimo atto di forza (fine a se stesso) del Ministro dell’Interno, si trovano in una situazione ancora più precaria, spogliate della loro dignità, umiliate e trattate alla stregua di criminali e rifiuti di cui disfarsi, da nascondere al più presto sotto il dannato tappeto della periferia.
Eppure non sono questi i poveri su cui il governo giallo-verde spende grossi proclami? Non sono queste le famiglie bisognose di cui Salvini parla nei suoi Tweet e Di Maio in televisione annuncia di aver “salvato” dalla povertà? Le immagini di Primavalle sono invece la brutale interferenza che ci permette di aprire un varco sulla realtà di una propaganda ormai all’ordine del giorno. È spostando il velo di Maya sulle futili e paternalistiche dichiarazioni della politica – tutta! – che la verità ci viene incontro, con una tale violenza che dovrebbe innescare un’ondata di vergogna dalla quale riemergere con più consapevolezza, se non vogliamo annegare definitivamente nell’allineamento e indifferenza totale a politiche che stanno smembrando le nostre città e il tessuto sociale, più di quanto non lo siano già. Perché tanto riguarda gli altri, sempre gli altri, mica noi.
Dovremmo chiederci allora che ideale di città stiamo inseguendo e quale sia la vera sostanza di questo Decoro, il nuovo Idolo ai piedi del quale stiamo sacrificando la nostra umanità, scambiandola per una panchina rimessa a lucido, una parete ripulita, una piazza sicura – ma militarizzata. Perché se il Decoro si trascina dietro la criminalizzazione del povero – ma anche del disagio sociale, psichico, esistenziale – allora ciò a cui stiamo aspirando è in realtà la città infernale: la città fatta da pochi, per pochi. La città funzionale ai bisogni di controllo, coercizione e sfruttamento di un Potere che sembra diverso ma resta uguale a se stesso, di qualunque colore esso voglia presentarsi.
Dobbiamo seriamente iniziare a domandarci se è davvero questa la città a cui aspiriamo. E, ancora più a fondo, se è questo il modello di cittadinanza e umanità che vogliamo promuovere per il futuro: un modello chiuso, asfissiante, paradossalmente anti-sociale, repressivo e violento, in cui è possibile gettare 200 persone in strada con un’operazione pseudo-militare e allo stesso tempo invocare a gran voce di avere cuore per le sorti dell’Italia e degli italiani, tra gli applausi generali.
Tra quelle 200 persone per le quali la “pacchia” sarebbe finita ci sono italiani, marocchini, tunisini, algerini, rumeni, qualche etiope. Abitanti di una patria comune, l’unica davanti alla quale ogni differenza etnica, religiosa o sessuale viene a cadere: la Povertà. E allora i fatti di Primavalle ci rivelano anche un altro importante aspetto: che non importa se italiani o africani, bianchi o dalla pelle scura… è il Povero lo Straniero per eccellenza.
Non stiamo abolendo la povertà. Stiamo abolendo il povero.
Ed è una cosa completamente diversa.
«E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore. Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia».
(J. Steinbeck, Furore)
Credits foto: ANSA/Massimo Percossi