Questo articolo è stato elaborato in occasione della Giornata nazionale dell’informazione costruttiva, lanciata dalla rete Mezzopieno nella Giornata mondiale della libertà di stampa. #GNIC2021
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C’è una parola, poco di moda di questi tempi, che si erge splendida nell’intersezione tra le due espressioni che animano la giornata di oggi, “informazione costruttiva” e “libertà di stampa”: responsabilità. L’individualismo spinto della nostra epoca sembra aver dimenticato che libertà e responsabilità – anche sul piano dei diritti – sono sorelle e compagne, unite in un binomio felice che quando si spezza genera mostri e chimere. Troppo spesso si esalta l’una a discapito dell’altra, confondendo la prima per diritto di fare e dire ciò che si vuole, come si vuole, senza conseguenze. Ciò è evidente, ad esempio, nella pervasività e diffusione dei discorsi d’odio in rete, spesso difesi (se non incoraggiati) invocando proprio la sacrosanta libertà del singolo, senza operare alcuna distinzione tra opinione/violenza verbale e nella totale mancanza di consapevolezza di essere parte di una comunità e non individui isolati senza doveri nei confronti del prossimo.
Il problema dell’odio in rete è un tema caldo della nostra attualità e non sempre così limpido: se infatti certe espressioni si configurano come veri e propri Hate Crimes, come comportarsi con quell’uso del linguaggio che, pur non costituendo reato, alimenta pregiudizi e intolleranza, fungendo inoltre da detonatore per l’esplodere di violenza e atteggiamenti negativi e tossici? È qui che entra in gioco il giornalismo, nel suo ruolo imprescindibile di costruttore di comunità e democrazia e nella sua vocazione di servizio e mediazione tra più parti sociali. Un mestiere, quello del/lla giornalista, che si fonda inevitabilmente sulla duplice traiettoria di libertà e responsabilità, al crocevia tra molteplici saperi e competenze, nella costante ricerca di equilibrio e amalgama tra più diritti, solo apparentemente in conflitto tra loro. Parliamo qui, ovviamente, di giornalismo “sano”, quello che non rinuncia alla sua etica e deontologia – fondamento stesso del mestiere, ricordiamolo – e ai suoi ruoli di intermediario, generatore di consapevolezze, fautore di dialogo.
Riallacciando dunque i vari fili del discorso che qui ho iniziato a tessere, il giornalismo, nel rispetto della sua vocazione, si presenta come l’antidoto più efficace ai fenomeni di odio e intolleranza e il canale privilegiato per la diffusione e il radicamento nella società di un’idea di libertà che sia sempre unita, indissolubilmente, al concetto di responsabilità. E questo a maggior ragione oggi, nell’ecosistema dell’informazione digitale e dopo gli sconvolgimenti generati dall’arrivo dei social, che hanno rivoluzionato radicalmente il rapporto tra giornalismo e utenti (non più lettori/lettrici), marcato da interattività e maggiore orizzontalità. L’era del Web 2.0 ha infatti portato con sé nuove opportunità, ma anche sfide e aspetti critici che aprono a riflessioni fondamentali sul ruolo del giornalismo nell’epoca digitale. In molti ambiti, tuttavia, si è sottolineato come proprio le sezioni commenti di testate online e blog siano diventati, qualitativamente e quantitativamente, importanti spazi per il dilagare dell’odio, dell’intolleranza e in generale di violenza verbale.
Non è certo un segreto che, per quanto riguarda il giornalismo online, il traffico, a livello dunque puramente quantitativo, è un aspetto fondamentale. E spesso sono proprio toni più irrazionali ed espressioni offensive a generare un maggior numero di interazioni. Siamo nell’ambito delle scelte delle singole testate. In che rapporto sono, oggi, e quanto peso hanno, in queste scelte, quantità e qualità? Sempre più spesso questo rapporto è gravemente sbilanciato verso il totale asservimento all’algoritmo, alla logica della viralità, all’ipermassimizzazione dei tempi di reazione ed engagement, alla rincorsa del trend topic del momento, penalizzando così pensiero critico, dibattito costruttivo, diritto all’informazione dei cittadini e venendo meno, di fatto, alla ragion d’essere stessa del giornalismo. È sempre più frequente incappare in titoli al limite del vero e proprio clickbait, fino ai casi più eclatanti in cui è lo stesso giornalismo a farsi veicolo acritico e amplificatore di stereotipi, narrazioni tossiche o fake news. È (anche) in queste pieghe che crescono e si propagano odio, intolleranza, sfiducia collettiva. D’altronde, la disinformazione è una delle madri di questi veleni. E fare cattiva informazione è a tutti gli effetti disinformare, e viceversa.
Perciò è fondamentale, ancora una volta, ribadire l’importanza di un giornalismo che torni ad abbracciare libertà e responsabilità e che s’impegni nel trovare un equilibrio sostenibile tra profitto, economia digitale, etica e deontologia, non lasciandosi inglobare passivamente dalle logiche social, ma piuttosto individuando in esse nuove opportunità di rimettere al centro i suoi principi. Trasformare la crisi in consapevolezza e opportunità di crescita è uno degli scopi, tra gli altri, del giornalismo. Ed ecco perché abbiamo sostenuto fin da principio il suo ruolo essenziale e di primo piano nella lotta al fenomeno dell’odio in rete e nella società: l’antidoto migliore per sua stessa natura, perché mediatore sociale, mezzo attraverso il quale la società interroga e scruta se stessa, tirando le somme. Repellente per nascita alla censura, il giornalismo gioca la sua partita con l’odio in rete, tra le altre, su un delicato equilibrio ma, proprio per questo, può farsi portatore di approcci diversi e complessità, può costruire senso e problematizzare ciò che invece viene altrove banalizzato. Come? Le risposte sono inscritte nella sua stessa deontologia.
Qui torniamo al discorso dell’equilibrio tra libertà e responsabilità e al perché il giornalismo può insegnarci a vivere in maniera sana e costruttiva su questo confine. Nelle parole della filosofa Onora O’Neill, la libertà su cui si fonda il giornalismo si presenta inevitabilmente come “other-regarding“, non è autoreferenziale e spinge il suo sguardo verso l’altro. In questo senso esso è plasmato e circoscritto dalla sua stessa etica, che anima la sua missione. Un giornalismo sano, come detto, riguarda non tanto un’espressione di per sé libera, ma veicolata, definita e supportata da un limite, quello posto dal giornalismo stesso e dalla sua deontologia, in un rapporto virtuoso tra libertà e responsabilità. Per questo è importante isolare ed esporre coloro che danneggiano e tradiscono i principi etici del giornalismo, ristabilendolo come una forza capace di promuovere dialogo e pluralismo.
È fondamentale allora rimettere la deontologia e l’etica al centro del dibattito sugli sviluppi del giornalismo di fronte alle sfide della digitalizzazione e della globalizzazione, in un mondo sempre più connesso ma paradossalmente più diviso. Per costruire una società più libera. E più responsabile.
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