All’anniversario del suo omicidio, ricordiamo Harvey Milk, uno dei primi politici americani a dichiararsi apertamente gay e combattere per i diritti della comunità LGBTQ+.
In pochi lo conoscono, i più forse grazie all’interpretazione di Sean Penn nel film Milk di Gus Van Sant (2008); ma Harvey Milk è un simbolo della lotta per i diritti dei cittadini gay americani e delle minoranze. Muore, assassinato, il 27 novembre 1978, nel municipio di San Francisco dove era consigliere comunale, e insieme a lui anche il sindaco George Moscone.
Harvey Milk non nasce in California ma nello stato di New York, nel 1930, da una famiglia di origini lituane e cresciuto nella comunità ebraica. Dopo una laurea in matematica, si arruola nella Marina ma decide di congedarsi nel 1955 a seguito di un interrogatorio formale sul suo orientamento sessuale. Tornato a New York, inizia a lavorare come insegnante a Long Island e partecipa alla realizzazione di alcuni musical. In questo periodo Harvey non aveva ancora fatto coming out, ma decide finalmente di non nascondersi più.
Dopo diversi lavori, nel 1972 Milk e il suo compagno si trasferiscono a San Francisco, già allora tra le città più progressiste negli Stati Uniti. A Castro Street Harvey apre un negozio di fotografia, diventando in breve tempo un riferimento per la comunità locale; complici la sua personalità spigliata, il carisma e l’acume che lo contraddistinguevano e che lo hanno portato, nel 1973 a candidarsi come consigliere comunale.
L’attivismo e la scelta della candidatura di Milk non sono subito accolte di buon occhio dai rappresentati della comunità LGBT di San Francisco; ma questo non lo ferma. Il suo talento politico, le sue idee progressiste, gli permettono di ottenere il consenso del quartiere di Castro e di altri più politicamente a sinistra. Pur non eletto, Milk riesce a lasciare il segno: inizia ad essere apprezzato e si mette a lavoro per migliorare le condizioni della comunità LGBTQ+. Tra le altre cose, fonda la Castro Village Association, per tutelare le attività commerciali gestite da persone omosessuali del quartiere, purtroppo vittime di boicottaggi e violenze omofobe. La simpatia nei suoi confronti cresce e gli fa guadagnare il sostegno di molte associazioni locali.
Decide, con questo nuovo e più ampio seguito, di candidarsi nuovamente a consigliere comunale nel 1975: anche questa volta, però, non viene eletto. Ma le cose continuano a cambiare e l’anno seguente, nel 1976, viene eletto un liberale come sindaco di San Francisco: George Moscone. Moscone era stato già portavoce della comunità gay quando, nel Parlamento della California, si era battuto contro una delle cosiddette “leggi sulla sodomia”. Aveva, inoltre, avuto modo di conoscere Harvey Milk, che decide ora di nominare come Commissario nell’ente cittadino per gli appalti: il primo funzionario dichiaratamente gay negli Stati Uniti.
Nel 1977 Milk si ricandida nuovamente a consigliere comunale, questa volta vincendo contro il suo avversario – anche lui membro della comunità LGBTQ+. Una volta eletto, si mostra un politico con cui non è sempre facile trattare per via del suo carattere provocatorio e la volontà di portare avanti le sue battaglie. Suscita, così, molte antipatie nei ranghi della politica locale; tra queste quella di Dan White, un altro consigliere che successivamente deciderà di dimettersi. Con lui ebbe uno scontro circa la costruzione – di cui White era contrario ma autorizzata da Milk – di un centro di salute mentale per adolescenti.
Per quanto riguarda i diritti LGBTQ+, Harvey Milk ha profuso il suo impegno per far approvare quella che il New York Times ha definito «la più severa e completa legge contro le discriminazioni di tutti gli Stati Uniti». Oltre a questo, si è occupato di promuovere iniziative per migliorare la vita nel quartiere di Castro: dall’edilizia popolare all’assistenza per le madri lavoratrici.
A destare maggior scalpore e consenso fu però la sua lotta contro la Briggs Initiative, una proposta di legge che avrebbe permesso la non assunzione o il licenziamento di insegnanti omosessuali. Harvey Milk mise in piedi una campagna spietata contro il promotore della legge, John Briggs, organizzando dibattiti per sfatare le false credenze ancora radicalizzate sull’omosessualità. Dopo una enorme marcia organizzata per tutta la città di San Francisco, anche Ronald Regan, allora ex governatore della California, e il presidente Jimmy Carter si schierano contro la proposta di Briggs, infine bocciata dagli elettori nel novembre del 1978. L’ultimo atto della politica di Milk: da lì a pochi giorni, infatti, lui e il sindaco Moscone saranno assassinati da Dan White.
«Se un gay può vincere le elezioni significa che, se combattiamo, c’è speranza che il sistema possa funzionare per tutte le minoranze, abbiamo dato loro speranza».
Quali sono stati i meriti di Harvey Milk e perché vale la pena ricordare la sua figura? Milk è stato un uomo che è riuscito a rimanere fedele alle sue idee a non rinnegare il suo pensiero e la sua natura di fronte alle istanze politiche. Dopo due elezioni perse, avrebbe potuto abbandonare quella strada o essere più accondiscendete ai compromessi che spesso il partitismo richiede. Ma lui era prima di tutto un attivista e ha continuato il suo percorso politico tenendo a mente ciò che lo aveva spinto lì: la lotta per i diritti civili. Ancora oggi Harvey Milk è ricordato come uno dei pionieri di questa lotta, sposata non appena decise di dichiarare la sua omosessualità e farne il portabandiera delle istanze della comunità LGBT. Non solo: la sua abilità politica fu anche quella di capire che i temi appartenenti alla sinistra progressista dell’epoca potevano creare aggregazione a livello locale; gli interessi delle grandi città erano gli stessi dei piccoli quartieri, e viceversa.
«Mi chiamo Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti». Questo era il suo motto elettorale, uno slogan che racchiude l’intuizione che gli permise di portare avanti la sua lotta politica: l’aggregazione. È riuscito a riunire una comunità, la stessa che inizialmente lo guardava con sospetto, facendo leva sui punti comuni, sul dialogo e non sulla divisione. Il suo successo risiedeva nel saper comunicare, nel diventare portavoce di un grido comune e impegnarsi per farlo ascoltare e accogliere. E tutto questo nell’arco di sei anni.
«se non ti mobiliti per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privo, quando poi intaccheranno i tuoi nessuno si muoverà per te. E ti ritroverai solo».
Harvey Milk è stato una personalità dal forte impatto sociale, nonostante i pochi anni spesi nell’attivismo e i pochissimi mesi in una carica politica. Questo per ricordare come non sia per forza necessario, per fare la differenza, attendere lunghi anni e passare per negoziati politici; ma che a volte sono proprio le spinte dal basso, le voci all’unisono di una popolazione, a smuovere le acque. Come è stato il caso per la marcia contro la Briggs Initiative.
La sua lotta, in un’epoca in cui l’omosessualità era ancora considerata una malattia mentale, ha superato i confini californiani allargandosi a tutti gli Stati Uniti. Ma non si è fermata alla comunità LGBT: la battaglia ha coinvolto tutte le minoranze del Paese facendo passare il messaggio, forte e chiaro, che la lotta per i diritti riguarda tutti; che non ci devono essere divisioni.
Promuovere inclusione e condivisione è un obiettivo che non deve conoscere confini, né territoriali né di classe; non è una lotta elitaria ma comune. Questo Milk lo aveva capito bene e ha avuto la forza e il coraggio di portare avanti i suoi ideali in prima persona, andando oltre la comunità LGBTQ+ e tendendo la mano a tutti i discriminati, messi a margine della rappresentanza. E farne una comunità sola.
«se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali sono chiuse le persone gay del Paese».