All’interno del pensiero femminista coesistono diversi approcci. Sicuramente, uno degli obiettivi del femminismo della quarta ondata è quello di sganciare il corpo nudo dalla sola logica pornografica, rivendicando una libertà d’espressione della propria sessualità e sensualità. Questo è l’approccio del femminismo sex positive, un femminismo che abbraccia l’individualità delle persone e la consapevolezza dei propri corpi, di tutti i corpi.
Si tratta di un pensiero intersezionale e inclusivo, che si pone l’obiettivo di vivere la sessualità in maniera più naturale, spontanea, rispettosa e consapevole. In questo articolo ragioniamo sul ruolo dei social come luogo di liberazione e rivendicazione del corpo della donna e della legittimità di essere, e quindi di mostrarci. Di scoprirci dei vestiti e di scoprire noi stesse.
Fino a qualche anno fa mi vestivo per provocare. Mi piaceva piacere: credevo che attirare l’attenzione dello sguardo maschile significasse aver raggiunto il traguardo, almeno dal punto di vista dei vestiti che mettevo (o decidevo di non mettere). Non posso negare che, più mi avvicinavo al femminismo, e parallelamente crescevo, più la mia maniera di vestire e pormi andava limitandosi. Questo perché in un primo momento, credo sia normale, ti scontri con una verità molto dura, e pian piano capisci che il tuo corpo e i tuoi modi non ti appartengono coscienziosamente.
Non mi pesa affatto, adesso, rendermi conto che in un primo momento ho reagito cambiando il mio modo di fare. Non è giusto adeguarsi alla cultura della paura, ma credo che all’inizio sia un riflesso inevitabile. D’altra parte non è solo la visione femminista ad avermi “plasmata”: sono state le esperienze che ho vissuto a farmi rendere conto che il più delle volte non ero che un corpo in esibizione. Non solo ciò che mi copriva, ma anche i comportamenti che tenevo e la gestualità del corpo venivano etichettati dal punto di vista sessuale, nel senso più negativo e vergognoso del termine.
Oggi ho capito che se voglio una società migliore devo imparare a voler essere chi mi sento di essere. Ho imparato ad apprezzare i miei difetti, i miei peli, non sempre porto il reggiseno perché credo che sia una costrizione (e auguro a tutt* di arrivare quanto prima a capire che, problematiche fisiche e varie necessità a parte, non è un accessorio indispensabile, se non ci va). Soprattutto, non do più così tanto peso alla nudità e alla “vergogna” del corpo nudo. Sto imparando che i corpi sono semplicemente corpi, e sono profondamente felice di vedere che i social media possono essere spesso strumenti “alleati” di questa riconquista del corpo femminile, che parte proprio dal rivendicare una libertà di mostrarsi, se si vuole, e di avere tutto il diritto di farlo.
Così, è sempre più comune che il feed di Instagram diventi il luogo dove le ragazze decidono di mostrarsi, postando foto probabilmente non conformi alla società patriarcale: se ti spogli sei sporca, facile. Se sei bella, allora non sei intelligente. Se sei intelligente, sei femminista o fai divulgazione, non puoi volerti mostrare sensuale, perché perdi credibilità. Bisogna spezzare queste vecchie catene.
Non credo sia un discorso facile da fare, tenendo presente la complicata questione del revenge porn, o a fronte di una società che vive sotto le regole della cultura dello stupro, che dice, infondo, che se ti vesti o non ti vesti in un certo modo, te la stai andando a cercare. È la società stessa che per prima de-responsabilizza le azioni maschili, legittimando le molestie se la vittima indossava abiti o esibiva comportamenti considerati troppo “attraenti”. Dobbiamo uscire da questa logica, e dalla logica della convalidazione patriarcale. È fondamentale che la nostra battaglia a partire dai corpi porti sempre con sé un messaggio ben chiaro: non ci stiamo rivelando perché cerchiamo l’approvazione di qualcuno, dobbiamo solo piacere a noi stesse.
Così, per un po’ di tempo, sono stata a metà tra questa libertà di scelta e la curiosità di sapere se dietro a ogni foto di un corpo femminile ci sia quella consapevolezza di cui parlavo. Che questo discorso venga compreso oppure no, ho trovato diverse ragioni per supportare questa causa.
Innanzitutto ci togliamo di dosso la pesantezza della censura a tutti i costi, riportando il corpo scoperto a quello che è, a livelli puri e primitivi: un semplice corpo. In seconda battuta, i corpi che si vedono adesso non sono più unicamente figure che soddisfano estetiche impossibili, ma rappresentano nella loro diversità tutte le sfumature fisiche. Fisicità segnate da incidenti, malattie della pelle, disabilità: tutti i corpi valgono e non esiste un corpo giusto. Perché la bellezza di un mondo digitale (e non solo) usato consapevolmente è proprio questa: c’è spazio per qualunque forma.
Un ulteriore motivo per cui appoggio una libertà cosciente dell’esposizione del proprio corpo trova le sue ragioni proprio nel giudizio maschile. I social network hanno dato uno spazio alle donne: siamo noi che rivendichiamo la proprietà dei nostri corpi e riscriviamo una sessualità dove ci troviamo sicure e a nostro agio. Di fronte a una società che vuole decidere per noi come dobbiamo essere, in quale maniera essere donne e in che misura donare la nostra femminilità, questa scelta porta il nostro punto di vista al centro.
Questo, secondo me, è un passaggio molto importante: si costruisce una nuova narrazione femminile, distanziandoci dalla figura della donna costantemente sessualizzata come oggetto, dunque una sessualitù perennemente passiva. Col tempo, magari, impareremo tutt* che il nostro corpo non è un invito. Sicuramente il problema non si risolve qui, perché una volta che ci esponiamo, dobbiamo tenere conto del rischio di non essere capite, di venire messe alla gogna e di ricevere insulti e commenti non graditi. C’è ancora molto da lavorare per fare comprendere che la responsabilità dell’odio online non è meno grave nel mondo virtuale.
Quindi, per concludere un dibattito che sicuramente non si può esaurire in queste sole righe, vorrei che le donne (e tutte le altre soggettività femminilizzate e inferiorizzate) si dessero la libertà (perché di questo si tratta) di condividere una foto che le fa sentire bene, belle e felici. Lo scopo non è quello di finire sotto lo sguardo giudicante dell’uomo – o di altre donne. È necessario modellare un nuovo punto di vista, trasformando la paura in accettazione. Un corpo nudo non è un corpo sessuale, non è necessariamente pornografia e non esiste in relazione al male gaze o all’approvazione maschile.
Se sei donna, se sei femminista, dovresti poter scegliere che cosa fare – se vuoi coprirti, se vuoi scoprirti: sono entrambe due maniere di essere libera, e nessuno dovrebbe dire che non va bene. Proporre i propri corpi, liberi, tatuati, deformi, diversi, non conformi, unici, allenta la tensione sull’aspettativa di dover a tutti i costi raggiungere un canone. Libera dalla convinzione che un pezzetto di pelle scoperta voglia significare desiderio sessuale. Il corpo femminile non esiste in relazione a e per l’uomo, esiste autonomamente da questo.
[Immagine in evidenza: Elisa Garcia De La Huerta]
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