Con la morte di Mario Paciolla si è tornato a parlare della Colombia e della situazione politica nella regione, seppur timidamente. Da un anno, ormai, le guerriglie interne sono tornate a destabilizzare una situazione sociale già estremamente fragile. A farne le spese sono, come spesso accade, soprattutto i civili.
La notizia della morte
Sarebbe dovuto tornare il 20 luglio in Italia e invece Mario Paciolla, volontario e collaboratore ONU, ha perso la vita in Colombia. La dolorosa notizia è arrivata la scorsa settimana e all’inizio si è provato a parlare di suicidio ma i numerosi segni di arma da taglio sul suo corpo fanno supporre altre piste. Quello di Mario, infatti, è stato un omicidio su cui si deve far luce e sul quale le autorità stanno ancora indagando.
Dopo le prime notizie sulla morte del ragazzo, però, è già calato il silenzio e la stampa si è concentrata su altro, forse anche per i troppi lati oscuri che avvolgono la vicenda e le poche notizie a riguardo.
Lui stesso aveva confidato ai suoi genitori di voler tornare in Italia, si sentiva sollevato all’idea di quel volo il 20 luglio, ormai vicino. Mario aveva detto alla madre di essersi messo in un pasticcio; forse, nel suo lavoro da volontario era venuto a conoscenza di qualcosa che non doveva essere portato alla luce.
Mario Paciolla si trovava in Colombia come volontario ONU e si occupava del dialogo di pacificazione tra il governo e i guerriglieri FARC; un processo di pace osteggiato fin dall’inizio dalle parti in gioco.
Mario è solo l’ultima delle numerose vittime morte in circostanze oscure in Colombia. La situazione in questo Paese, infatti, è grave e complicata e gli omicidi non si sono fermati neanche con le restrizioni della pandemia.
L’inizio della guerriglia colombiana
La Colombia ha una storia di guerriglie che risale già al XIX secolo quando si scontrarono i due principali fronti politici del paese, il partito liberale e quello conservatore, dando vita a numerose guerre civili arrivando fino al XX secolo. Nel 1948, a seguito dell’omicidio del candidato liberale Jorge Eliécer Gaitá, si scatena il Bogotazo, l’insieme di proteste violente che da Bogotà si allarga a tutto il Paese. Durante questo duro periodo perdono la vita molti funzionari dello Stato e alcune aree della Colombia vengono dichiarate repubbliche indipendenti.
Arriviamo al 1953 quando, con un colpo di stato, si insedia al governo Gustavo Rojas Pinilla con l’intento di riportare la pace, proponendo un’amnistia per chi avesse deposto le armi. Chi cedette a questa proposta, una volta tornata la quiete, fu però assassinato.
In questo periodo si stabilisce l’alleanza tra le due fazioni politiche, liberale e conservatrice. Un’alleanza durata quattro anni, fino ad arrivare agli anni Sessanta e alla nascita delle FARC.
La nascita delle FARC
Le lotte colombiane nacquero principalmente perché la classe contadina era costantemente vessata e privata dei suoi diritti, una situazione rimasta immutata ancora oggi.
Nel 1961, in una regione a sud di Bogotà, si formano dei moti di protesta di contadini a cui i latifondisti avevano tolto la terra. Le richieste allo Stato consistevano in una maggiore tutela dei loro diritti ma, in tutta risposta, il governo mandò le forze armate a smantellare con la violenza l’occupazione dei contadini.
È in questi anni che nascono le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane) aventi lo scopo di azioni vòlte all’autodifesa. Nascono sotto la guida di Manuel Marulanda, detto Tirofijo, che guidava un gruppo di agricoltori comunisti i quali volevano proclamare l’indipendenza di alcune aree del Paese. Inizialmente le FARC erano d’ispirazione marxista-leninista.
Nello stesso periodo nasce un altro gruppo di guerriglieri, l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), anche questo d’ispirazione marxista ma che rifiuta il modello sovietico e si autofinanzia, non prendendo denaro dal narcotraffico o da fonti estere.
Le guerriglie interne mandate avanti da questi gruppi hanno caratterizzato tutti gli anni Sessanta e oltre. Per contrastarle nascono dei gruppi paramilitari esterni all’esercito ufficiale; una mossa che voleva rimanere segreta ma portata alla luce da Amnesty International.
Nel 1970 vede la luce un ulteriore gruppo armato: l’M-19. Questo gruppo, Movimento del 19 aprile, nasce in risposta a presunti brogli elettorali avvenuti proprio il 19 aprile di quell’anno.
La situazione politica e sociale colombiana si complica e gli anni Sessanta e Settanta saranno segnati da lotte interne, fatte di violenze, omicidi e rapimenti da parte di tutti gli attori in gioco.
Primo tentativo di pace
Nel 1982 viene eletto presidente il conservatore Belisario Betancur che si mobilitò subito per le negoziazioni di pace. Le FARC rispondono e si dicono disponibili ad instaurare un dialogo, mostrando subito la loro influenza politica. Betancur promuove una Commissione di Pace e una nuova legge di amnistia che permette di liberare un centinaio di ex guerriglieri.
Nel 1984 si arriva a un accordo tra governo e guerriglieri osteggiato, però, da alcune parti in causa. Il capo dell’esercito, Miguel Vega Uribe, si dice contrario; della stessa opinione è il Ministro della Difesa che viene destituito per questo disaccordo. Tensioni circa il trattato di pace si vengono a verificare anche all’interno delle stesse organizzazioni, che presto creano delle scissioni.
Questi disaccordi fanno riemergere le violenze già nel 1985. A inasprire il malcontento c’è la decisione del governo di risanare l’economia tramite manovre finanziare che comprendono l’aumento delle tasse e dei carburanti e la diminuzione dei salari. La conseguenza è il crollo del potere d’acquisto e un acuirsi della recessione.
Per protesta, il gruppo guerrigliero M-19 decide di occupare il Palazzo di Giustizia della capitale Bogotà ma la risposta dall’alto è molto violenta e l’esercito farà una carneficina. In questa occasione non perdono la vita solo i membri dell’M-19 ma anche funzionari del governo.
Il narcotraffico
Approfittando di questo clima di rivolte fuori controllo, il narcotraffico comincia a convogliare il potere nelle sue mani e si inserisce nella guerra interna, creando ancora più instabilità. Si scatena una lotta armata su più livelli che ora vede il governo combattere contro l’ascesa del mercato della droga.
In un primo momento, con la presidenza di Betancur, si è paventata l’idea di legalizzare il traffico di droga e rendere partecipi alla vita politica ed economica del paese i narcos. In questa occasione nascono partiti politici appoggiati da narcotrafficanti ma la proposta viene osteggiata dai conservatori e rimane un nulla di fatto.
I tentativi di dialogo, dunque, falliscono su più fronti e riprendono le lotte interne mentre gli omicidi da parte del narcotraffico si propagano anche al di fuori dei confini colombiani. Le repressioni della polizia non fanno che acuire queste violenze e la Colombia si trova nuovamente a vivere un periodo di scontri.
Gli anni Ottanta rappresentano il periodo più fiorente e violento per il narcotraffico dell’America Latina, capitanato da figure come quella di Pablo Escobar.
Gli anni Novanta e Duemila
Negli anni Novanta, sotto la presidenza di César Gaviria Trujillo, riprendono i tentativi di dialogo, partendo anche dalle stesse FARC ma anche questo processo avrà vita breve. Nel 1992, infatti, il governo dichiara la guerra totale e autorizza l’utilizzo della forza, ponendo fine a qualsiasi tentativo di dialogo.
Le FARC rispondono con una conferenza tenutasi nel 1993, in cui decidono una nuova strategia militare riorganizzando le aree di controllo.
Nel 1998 il presidente Andrés Pastrana concede alle FARC un territorio indipendente in cambio di un dialogo per i negoziati di pace e disarmo della guerriglia. Le FARC, però, diventano ancora più forti e nel 2002 Pastrana decide di revocare l’indipendenza e le FARC vengono riconosciute internazionalmente come gruppo terroristico.
Il governo di Uribe
Le cose cambiano ulteriormente con l’elezione del conservatore Álvaro Uribe nell’agosto del 2002. Uribe inizia subito quello che aveva promesso in campagna elettorale: lo smantellamento delle lotte armate e dei gruppi terroristici con la forza repressiva. Quello di Uribe si trasforma presto in terrorismo di stato, aiutato da Washington e dichiarando lo stato d’emergenza. Il presidente non si limita a colpire i guerriglieri, ma il suo esercito paramilitare compie un vero e proprio rastrellamento. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite le vittime dell’esercito colombiano, sotto la presidenza Uribe, sarebbero state 3000 tra cui non solo guerriglieri ma anche contadini; tutti sommariamente uccisi.
Nel 2004 Amnesty International solleva delle preoccupazioni circa la conduzione della repressione da parte del governo Uribe.
“Il processo di smobilitazione è profondamente ambiguo. Il governo sta fornendo ai paramilitari i mezzi per riemergere in veste legale, riciclandoli in agenzie private di sicurezza o in altre strutture istituite dal governo, senza tenere in considerazione il loro ruolo nelle violazioni dei diritti umani. L’attuale politica del governo colombiano non ha garantito un sostanziale miglioramento della situazione dei diritti umani in quanto concede l’impunità per i responsabili e perpetua le violazioni dei diritti umani. Tutto questo tende a negare alle vittime e alle loro famiglie il diritto alla verità, alla giustizia e a un completo risarcimento”.
Le FARC e la situazione in Colombia oggi
Nel 2010 inizia il mandato del presidente Juan Manuel Santos, già Ministro della Difesa con Uribe, che però decide di riprendere i negoziati per un tentativo di pacificazione.
Il 23 marzo del 2016 a L’Avana si firma l’accordo di pace tra governo e FARC che diventano un partito (Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común) con a capo Rodrigo Londoño “Timochenko”.La Colombia sembra finalmente vedere la fine del lungo e sanguinoso conflitto costato più di 220mila vittime e milioni di sfollati.
Tuttavia la pace dura, nuovamente, poco e già nel 2019 le FARC annunciano la fine dell’accordo e riprendono la lotta appoggiati, sembrerebbe, dal presidente venezuelano Maduro. A fare l’annuncio il 26 agosto 2019 è l’ex comandante Iván Marquez, che non è mai stato favorevole alla deposizione delle armi.
Queste nuove FARC dicono di avere un altro bersaglio: “Miriamo a quell’oligarchia che esclude, corrotta, mafiosa e violenta. Abbiamo chiuso con i sequestri di persona, adesso cerchiamo il dialogo con gli imprenditori, i commercianti e la gente benestante, affinché contribuisca al progresso di tutte le comunità rurali e urbane”.
Problemi irrisolti
I problemi che hanno portato alla formazione di questi gruppi armati non sono mai stati realmente risolti. Una delle principali rivendicazioni delle FARC è la redistribuzione dei terreni agricoli: secondo un report dell’Ocse del 2015 lo 0,4% della popolazione colombiana possiede ben il 46% delle terre coltivabili. Questo crea, chiaramente, uno squilibrio importante nella distribuzione delle risorse, impoverendo la maggioranza della popolazione, specialmente quella contadina.
Collegato alla tutela dei contadini è il narcotraffico. Durante gli anni Duemila le FARC controllavano il 40% del territorio nazionale e hanno cominciato a proteggere le piantagioni di coca, di cui la Colombia è la maggiore esportatrice, e i narcotrafficanti. Anche molti contadini, durante gli anni Ottanta, si sono piegati a questo tipo di coltivazione perché fonte di maggiore guadagno.
Oggi le FARC portano avanti la richiesta dei contadini di una riconversione dei terreni e della proibizione dell’uso del glifosato da parte dell’Esercito.
Le FARC non hanno mai collaborato all’identificazione dei narcotrafficanti.
Questa sorta di collaborazione tra FARC e narcotraffico, è stata la scusante che ha permesso alle forze americane di intervenire su suolo colombiano, portando ad ulteriori tensioni interne ed esterne.
Strettamente legato alla Colombia, poi, è il Venezuela. I governi di Chaves e Maduro sono più volte intervenuti a favore delle FARC, schierandosi contro il governo di Bogotà vicino a quello di Washington.
L’appoggio alle FARC da parte del Venezuela è dovuto anche all’interesse per l’area caraibica, contesa con il governo colombiano.
Un contesto difficile
È questo il difficile contesto in cui operano l’ONU e altri volontari come Mario Paciolla che lavorava in una zona estremamente instabile della Colombia. Era lì per implementare alcuni aspetti dell’accordo del 2016 e aiutare in un nuovo dialogo per la pace.
Le violenze, inoltre, sono perpetrate non solo da parte dei guerriglieri ma anche dalle forze paramilitari e l’attuale presidente Duque non esprime alcun tipo di cordoglio per le vittime e la situazione corrente. Non intende dare istanza alle richieste delle FARC né dei contadini, che si sono visti eradicare le loro coltivazioni invece di averle convertite.
In un contesto così pericoloso e complesso, con plurime parti in gioco risulta, sì, difficile, ma anche necessario fare luce sull’omicidio di Mario, un’altra delle migliaia di vittime coinvolte in questioni ormai secolari. Come lui anche altri volontari in Colombia rischiano continuamente la loro vita in dinamiche di potere complesse che non intendono giungere a una pace reale, per via di più grandi interessi in campo.
Le indagini sulla morte di Mario sono in corso e la speranza è che l’attenzione dell’Italia e dell’Unione Europea non cada e che si pretendano verità e giustizia.