Come te lo faccio a spiegare?
Mi rigiro nervosamente ciocche di filari neri tra le dita piccole, non so cosa e come sembro vista dall’esterno – vista da altri – non l’ho mai capito. In realtà penso di sembrare calma, inflessibile, spigolosa e dura come una roccia di scogliera che ha imparato col tempo a schivare il caos paziente dell’oceano. Questo mi confonde, oscillo tra la voglia di confutare quest’idea e il bisogno di proteggerla ad ogni costo, perché non so. Ho sempre voglia di scappare, anche qui, anche ora, anche se sto bene. Bene. Una parola strana. Soprattutto adesso. Si può stare bene, ora? Posso permettermelo? Che succede se lascio andare libera questa sensazione, se smetto di pensarci, se la lascio scorrere fluire agguantarmi il collo entrare dentro entrarmi dentro?
Come te lo faccio a spiegare, dicevo.
Sì, sì, è stato difficile tornare alla normalità. È difficile ancora. Questo mi esce dalla bocca e mi viene da ridere. Vorrei poter dire quanto sia lontano e fluido questo concetto di normalità che ci portiamo dietro tutti nei discorsi ora, come se fosse una roba stabile, che era lì, eccola vedi, era proprio lì, e per un attimo l’abbiamo persa di vista, per forza di cose, ci siamo adattati, volenti o nolenti, ma ora possiamo riafferrarla, ricollocarla sul comodino e guardare che bella luce che fa. Guardarci attraverso di lei. Una bella sfera di luce intermittente, pulsante. Per me quella luce è sempre stata distorta e sfuggente, ambigua come occhi di lupa sotto la luna, dolce e terribile come la marea che si alza e tu ti sei addormentato a riva, ignaro, e intanto quella sale, sale.
Qual era la tua normalità, vorrei dire, ti racconto qual era la mia, vorrei dire. Ma non lo dico. Invece annuisco, sorrido, mi godo l’illusione di un ritorno a qualcosa che non c’è mai stato. Le illusioni servono per tirare avanti e io me la sono sempre presa troppo con loro. Ho un passato di accanimento furioso contro le illusioni, anche quelle innocue, una rabbia costante di mani che s’obbligano a grattar via, scavare, togliere veli e parole, edificare muri solo per spingerci la gente contro ed abbatterli e chiedere cosa si prova. Oggi capisco che di tutta questa brutalità lucida posso fare a meno, che spesso usiamo parole un po’ sbagliate per definire concetti che vanno oltre la nostra capacità di afferrarli in pieno. E che forse va bene così, perché siamo tutti in un modo o nell’altro corpi di attesa e paura, autoinganno e meraviglia.
Perciò non so. Come te lo faccio a spiegare? Forse non te lo spiego e mi limito a dire che oggi sto bene, in questo momento sto bene, che non pensavo potesse capitare, che questa cosa qui mi coglie di sorpresa e non so esattamente che farci. E che voglio che sia questa la normalità, qui ed ora, almeno in questo momento. La mia cosa normale. E mentre lo penso mi scopro a capire che, alla fine, magari non è nemmeno poi tutta un’illusione.
Mi sono spiegata?
Illustrazione: @shaza.wajjokh
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