John Mpaliza, “camminatore resistente” e attivista non-violento, sarà ospite questa sera della nostra nuova Diretta Resistente, in cui discuteremo di Black Lives Matter, razzismo e inclusione. Insieme a lui anche Don Massimo Biancalani, Antonella Bundu, consigliera comunale e attivista, e Aida Aicha Bodian, autrice de Le Parole dell’Umanità. Per prepararci al dibattito, abbiamo avuto il piacere di intervistare Mpaliza: ne è uscita un’interessante chiacchierata sul senso dell’antirazzismo, sulle responsabilità della politica, sul peso del neo-colonialismo nel continente africano e sull’instancabile speranza che nonostante tutto continua ad animarci.
John, le tue marce per la pace sono un simbolo di resistenza al clima di odio e distanziamento culturale che respiriamo da troppo tempo. Il lock-down sembra averci regalato un tempo in cui sentirci più vicini, tutti accomunati dalla stessa condizione di precarietà. Gli ultimi fatti accaduti negli USA ci hanno però risvegliato da questa illusione e mostrato il volto di un mondo a cui manca ancora molto per scoprirsi realmente equo e inclusivo. Che società vedi oggi nella comunità che viviamo, in termini di diritti e accoglienza?
Vedo, purtroppo, una società caratterizzata da egoismi e indifferenza nei confronti dei più deboli. A proposito di diritti ed accoglienza, a Trento, la città dove abito da quasi tre anni, circa 200 senzatetto rischiano di finire in mezzo alla strada – se non ci sono già finiti – e non sembrano esserci risposte concrete a questa emergenza dalle istituzioni e tanto meno dalla società civile. Mi viene quindi spontaneo chiedermi se ci credevamo davvero quando abbiamo riempito i nostri profili social e le nostre finestre di scritte come «andrà tutto bene» oppure «insieme ce la faremo!». Voglio però essere ottimista e continuare ad avere speranza e fiducia nella gente, soprattutto nei giovani. Durante la manifestazione Black Lives Matter in Piazza Duomo (Trento), ho visto tantissimi giovani – ce ne saranno stati 4 per ogni adulto – uniti non solo nel denunciare il razzismo, ma anche determinati a lavorare per una società migliore. Mi fido di loro e del messaggio che hanno portato in piazza. E ciò riaccende la speranza in me.
Credi che la quarantena sia stato un tempo proficuo per riflettere su di un nuovo modello culturale di integrazione oppure tutto tornerà come prima?
Penso che questo periodo di quarantena sia stato, nella disgrazia che ha rappresentato il Covid-19, un dono, un’occasione d’oro che, davvero, poteva permetterci di ripensare tanti processi decisionali e, perché no, il modello culturale di integrazione. C’è stata poca interazione tra le organizzazioni della società civile che si occupano di integrazione e accoglienza che, come tutti, si sono dovute fermare. Tante lotte portate avanti prima del Covid-19 si sono fermate o azzerate. Con i preparativi della prossima Giornata Mondiale del Rifugiato – che si celebra ogni 20 giugno – questi soggetti stanno riprendendo a lavorare insieme e la mia impressione è che questo settore sia stato sapientemente messo da parte e dimenticato dalla politica.
John, hai cominciato a camminare per la pace nel 2010 di ritorno da un viaggio, nel 2009, nella Repubblica Democratica del Congo, paese dove sei nato e che hai dovuto lasciare più di vent’anni fa a causa delle drammatiche conseguenze della guerra. In questi anni ti sei battuto per portare un messaggio di non-violenza nei luoghi più disparati e lontani, da Reggio Emilia a Helsinki. Cosa ti ha sorpreso di più, in positivo e negativo, nella tua esperienza di attivista in cammino? Che impatto hai visto nelle persone che hai incontrato lungo la strada grazie al tuo esempio e al tuo attivismo?
Di positivo, mi ha colpito molto l’accoglienza delle persone nelle città e nei paesi che ho attraversato in questi dieci anni di cammino. Non mi sono mai sentito solo e ci sono sempre state persone disposte a fare un tratto di strada con me. Di negativo mi ha sorpreso la facilità con cui alcuni politici fanno delle promesse, dandoti una pacca sulle spalle, salvo poi dimenticarsene appena esci dal loro ufficio. Non è una generalizzazione ma questo atteggiamento provoca rabbia e ripensamenti.
Nella tua lotta c’è un obiettivo chiaro e definito (es. la promulgazione di una nuova legge o la creazione di nuovi programmi sociali) o è più un’attività di sensibilizzazione costante? Esiste e vedi un traguardo?
Dipende. Durante le marce dedicate alla Repubblica Democratica del Congo, abbiamo sempre posto l’attenzione sullo sfruttamento illegale di minerali come il coltan e cobalto, indispensabili per la tecnologia di ultima generazione (smartphone, macchine elettriche, etc) e sui conflitti e massacri che ne conseguono, con l’obiettivo chiaro di chiedere una legge per la tracciabilità di questi minerali. Ebbene, in tale direzione, a gennaio dovrebbe entrare in vigore un regolamento europeo, frutto di un lavoro di tante persone, organizzazioni ed istituzioni che ci hanno raggiunto in questa lotta. Invece, durante la Marcia Restiamo Umani che, l’anno scorso, per 4 mesi, ha percorso mezza Italia, non c’era un target preciso. Questa marcia era stata pensata per portare un po’ di ottimismo nella gente, invitando i territori che abbiamo attraversato a lottare contro il clima di odio e paura che, in quei momenti, si stava vivendo in Italia e non solo. Questa marcia si è conclusa in Piazza San Pietro il 20 ottobre con incontro e consegna di un messaggio a Papa Francesco. Dopo ogni marcia mi trovo a sperare che sia stata anche l’ultima ma, per come vanno le cose in Congo ma anche in Italia e nel mondo, temo che ci vorrà un po’ prima di appendere le scarpe al chiodo.
Come dicevamo, tu, John, sei originario della Repubblica Democratica del Congo, uno stato che si posiziona tra gli ultimi dieci al mondo in termini di PIL eppure è tra i più ricchi in termini di risorse naturali, nonché uno dei più sviluppati del continente fino all’arrivo delle forze coloniali. Dal tuo punto di vista, quanto (e come) continua a pesare l’influenza (neo)coloniale sulle sorti del tuo paese d’origine? Vedi una soluzione efficace all’enorme dramma dello sfruttamento economico speculativo da parte degli stati stranieri?
Temo che la colonizzazione non si sia mai davvero arrestata e anche Paesi come l’Etiopia e la Liberia , che la colonizzazione non l’hanno conosciuta direttamente, oggi hanno i loro “padroni”. Il prossimo 30 giugno commemoriamo i 60 anni dell’indipendenza della Repubblica Democratica del Congo dal Belgio. Sono stati però 60 anni di continuità coloniale, seppure sotto diverse forme… ma nella sostanza nulla è cambiato. Sono ottimista: verranno giorni e tempi migliori. Molti Paesi africani stanno riuscendo a liberarsi piano piano dall’abbraccio assistenzialista e assassino di istituzioni, a mio avviso criminali, come ad esempio la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. Verranno giorni migliori se e quando l’Africa si ricorderà e seguirà gli insegnamenti di Patrice Lumumba, Thomas Sankara, M. Gheddafi e tanti altri dirigenti che hanno perso la vita nella battaglia contro Golia. Nessun paese africano si salverà da solo. L’Africa ripartirà e tornerà a splendere quando ritroverà l’unità.
Dall’assassinio di George Floyd, la protesta contro la brutalità della polizia e il razzismo negli USA, portata avanti da movimenti trasversali che si rifanno allo slogan Black Lives Matter, è esplosa radicalmente diffondendosi anche oltre i confini a stelle e strisce, sfociando in veri e propri scontri violenti con le forze dell’ordine. Sulla scia di questi eventi, adesso negli USA stanno valutando di riconvertire grandi fette degli investimenti per le forze dell’ordine verso altri ambiti, in particolare nel welfare. Tu sei un grande attivista della lotta non-violenta. Come giudichi l’approccio “radicale” e duro delle ultime manifestazioni? Credi che si possano raggiungere stessi traguardi in termini di diritti utilizzando solo la disobbedienza non-violenta e la sensibilizzazione?
Quando ci vuole ci vuole! Purtroppo, la società americana è nata e cresciuta razzista. La schiavitù e la segregazione razziale sono state abolite ma, di fatto, sono vive nella società e nei cuori di molti americani “bianchi”. Sono un discepolo della non-violenza e mi sento più vicino al Reverendo Martin L. King che a Malcom X ma, come dare torto a chi, di fronte alla complicità e silenzio di molti, ha manifestato in questi giorni? Penso che le manifestazioni, anche quelle negli USA, siano state pacifiche e non-violente. La violenza è venuta dall’altra parte: dalla polizia e dalle parole di chi dovrebbe essere considerato il padre di tutta la nazione. È vero che ci sono stati saccheggi ma, a mio avviso, bisogna guardare la parte più bella e profonda di quelle manifestazioni. Dove la polizia ha abbracciato i manifestanti c’è subito stato un clima di pace. Per quanto riguarda la riconversione e dirottamento di fette di investimenti per le forze dell’ordine verso il welfare, credo sia un bellissimo annuncio ma ci crederò quando lo vedrò. A questo proposito, ricordo che in Italia il 9 luglio ripartirà la Campagna contro le Banche Armate (https://youtu.be/ncWT-gVattY). Proviamo anche noi a fare la nostra parte, firmando ed aderendo a questa campagna.
Questa sera sarai ospite della Diretta Resistente di Aware insieme, tra gli altri, a Don Biancalani di Vicofaro e la consigliera Antonella Bundu. Quanto è necessario che il cambiamento per una società più inclusiva e rispettosa dei diritti umani passi attraverso due ambienti distanti eppur vicini come la religione e la politica? Cosa chiederesti a Don Biancalani e cosa alla consigliera Bundu, nei rispettivi ambiti, per promuovere un clima di maggiore consapevolezza a livello locale e nazionale?
Quando ero ancora in Congo, mi capitò di vedere il film “Don Camillo e Peppone”, due personaggi lontani ma che riuscivano a trovare modo di sedersi e parlare per il bene della comunità. Non molto volentieri, ma ci riuscivano. Nello stesso modo spero che chiesa e politica riescano a parlarsi per il bene della comunità. Don Biancalani, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere l’anno scorso durante la Marcia Restiamo Umani, merita la comprensione, l’aiuto e l’accompagnamento delle istituzioni nell’opera di integrazione che porta avanti a Vicofaro. Questo chiederei alla consigliera. E a lui direi: «grazie mille per quello che fai, non fermati mai». Ah, ho vissuto 20 anni a Reggio Emilia e ho avuto modo di visitare Brescello, ma prima mi sono fatto un’overdose di “Don Camillo e Peppone”.
Futuro: credi che arriverà il giorno in cui smetteremo di giudicare il valore umano sulla base delle apparenze etno-somatiche? Cosa manca per raggiungere un traguardo che a tratti sembra utopico?
Difficile ma non impossibile. Manca l’amore. Se ami non giudichi, non invidi, non discrimini. Peace & Love.
Presto si tornerà a camminare liberamente. Quali sono i prossimi appuntamenti sulla strada?
Per ora non ho ancora un’agenda in questa direzione. Ho scelto lo strumento della marcia per parlare di pace, ma accanto ad esso ci sono anche momenti importanti di incontri e conferenze nelle scuole e con le associazioni. Da settembre, con la ripresa della scuola, ripartirò anch’io con vari incontri nelle scuole in tutta Italia e forse anche all’estero, se ce ne saranno le condizioni. Per avere informazioni, consiglio a chi fosse interessato di seguirmi su i social (@johnmpaliza oppure @PeaceWalkingMan).
Appuntamento questa sera, ore 21, sulla nostra pagina Facebook Aware Bellezza Resistente per continuare a dialogare con John Mpaliza e tutti i nostri ospiti sull’importanza della lotta al razzismo anche e soprattutto nel nostro Paese. Vi aspettiamo!
https://www.facebook.com/AwareBellezzaResistente/photos/a.2337689616476282/2650740111837896/?type=3&theater