Da dove viene la propensione al cambiamento? Cosa ci porta a prendere quella decisione che, nel giro di un istante, è in grado di trasformare radicalmente la nostra vita?
Possiamo imputare il cambiamento a molti fattori: noia, rabbia, saturazione, felicità o paura. Paura di se stessi o paura dell’altro, come se cambiare diventasse l’unica soluzione per proteggersi dal male che ci viene inflitto o che, per troppo tempo, ci siamo autoinflitti.
Per cambiare ci vuole coraggio. Coraggio per rimanere soli con noi stessi, nudi e senza scuse, per districare i nostri pensieri e dirci ad alta voce che il cambiamento è l’unica soluzione possibile.
Così come in tutte le cose, c’è un cambiamento per tutti i gusti. C’è chi lo vuole rapido e indolore, amaro e conflittuale, dolce e protratto nel tempo oppure silenzioso e quasi impercettibile al mondo esterno. C’è chi ci arriva dopo una lunga nottata insonne, chi al risveglio da una sbronza, chi dopo mesi e mesi di chiacchierate con gli amici, e chi dopo aver subito l’ennesimo trauma ormai impossibile da digerire.
Tuttavia, a prescindere dal come e dal quando, prima o poi tutti si ritrovano a dover fare i conti con quella spinta al cambiamento, che, come una voce di intensità crescente, ci ricorda che sopportare non può più essere un’opzione. Quindi, per molti, il cambiamento diventa l’apice di un processo di maturazione individuale, una vetta dalla quale ormai non si può scendere.
E come ogni alpinista professionista sa, nessuna vetta può essere scalata senza allenamento. Così come le montagne, anche i nostri pensieri devono essere affrontati con cautela, gradualmente, aumentando il livello di difficoltà solo quando ci sentiamo abbastanza pronti, sicuri e maturi. Eppure, anche agli alpinisti più esperti capita di cadere, di tornare indietro rotolando su se stessi, di continuare a inciampare sui propri passi e di rifare quegli stessi errori che li hanno portati a soffrire e a ripromettersi che quella sarebbe stata l’ultima volta.
E poi, magicamente, in un giorno qualunque, uno di quelli dove la sveglia suona troppo presto e ti sei nuovamente dimenticato il latte, la cima sembra vicinissima. Le gambe sono leggere e così, passo dopo passo, mesi di allenamento sembrano finalmente dare i loro frutti. Quel giorno, vedi i sassi in ombra, riesci a ripararti dal sole cocente e scegli il percorso con meno erbe orticanti. Nonostante la fatica, la paura di cadere e le voci di tutti coloro che ti hanno sempre fatto sentire inadeguato, continui a camminare. E finalmente, arrivi in vetta.
Respiri a pieni polmoni e ti godi quella vista che per tanto avevi sognato. Vedi il tuo passato a fondo valle, il tuo presente, racchiuso in quello zaino che ti pesa sulle spalle, e il tuo futuro, la cima più alta al di là delle montagne all’orizzonte.
Sebbene tu abbia scelto gli scarponcini migliori sul mercato, alla fine ti ritrovi dolorante, pieno di bolle, escoriazioni e crampi. Raggiungere quella cima, dopotutto, è stato difficile, spaventoso, a tratti anche doloroso. Ma forse, ogni cambiamento racchiude a modo suo ognuna di queste caratteristiche. Soprattutto il dolore, che per quanto si cerchi di sopprimerlo sotto strati di biancheria termica, riesce sempre a fuoriuscire.
Darwin ci insegna che non sono le specie più forti a sopravvivere, e nemmeno le più intelligenti, ma quelle più pronte ad accettare e abbracciare il cambiamento. Essere pronti a mettersi in gioco, a rinunciare alle certezze che per anni ci hanno dato un senso di fiducia e tranquillità, vuol dire aspirare a valorizzare la condizione umana. Vuol dire pensare in grande, a lungo termine, buttando lo sguardo oltre l’ostacolo senza dimenticare di portarsi dietro arpioni e cerotti.
I cerotti servono. Non per quando saremo già in vetta, ma per l’ascesa, e per tutti quei momenti nei quali anche solo l’idea di cambiare ci farà troppo male, facendo sì che ogni ferita, anche quella più profonda, si riapra dolorosamente. Tuttavia, nessun cerotto sarà mai abbastanza resistente da poterci far dimenticare tutto quello che è successo e che, spesso, vorremmo smettere di ricordare. E a quel punto non ci sono né toppe né soluzioni efficaci, e non ci resta che saltare nell’acqua salata e aspettare che piano piano queste ferite trovino pace dentro di noi.
Anche trovare la vetta giusta da scalare è difficile. Quando siamo ai piedi del monte con gli occhi all’insù, sono tanti i paradisi innevati ad aprirsi davanti a noi. La scelta della direzione da intraprendere è insidiosa, fuorviante e spesso ingannevole. E, ancora una volta, anche per dare retta a quella bussola interna che orienta il nostro percorso, ci vuole coraggio.
Coraggio che diventa creatività, lavoro intellettuale che diventa piacere per il lavoro manuale, violenza che diventa carezza e abuso che diventa rispetto. Il cambiamento è la messa in atto di una serie di strategie di sopravvivenza, è la ricerca dell’azione come cura per la depressione, ed è l’accettazione che da soli siamo tutto, ma mai abbastanza.
Traumi fisici e mentali protratti nel tempo lasciano scorie perenni, creano scorze spesse e rugose, e ci cambiano in modo profondo e inesorabile. Ci immobilizzano davanti alle scelte, guidano ogni nostra decisione, ci ricordano quanto tempo abbiamo perso sperando che l’indomani sarebbe stato migliore. Bloccati all’interno di bolle insonorizzate, nelle quali ogni grido si perdeva e ogni aiuto sembrava vano. Momenti nei quali, pensando alla tua montagna, questa ti sembrava un ammasso di roccia dura, tagliente e insormontabile. Una roccia oscura e imponente, ambiente dove il tempo è rallentato e ogni grido si perde in una valle senza eco.
Ma nessuna ferita è troppo vecchia e dolorosa per essere curata. Ogni taglio, per quanto superficiale, ha il diritto di potersi comprare quel paio di scarponcini che gli permettono di salire in vetta, di affrontare chiunque gli faccia o gli abbia fatto paura, e riuscire a respirare quell’aria gelida e pura che tanto aveva bramato. Certe ferite non si chiuderanno mai definitamente, tuttavia, queste diventeranno la nostra bussola, per ricordarci quale strada evitare e per indicarci quale vetta scalare.
[Immagine in evidenza: Carlo di Camillo in arte Cadica]
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