Se mai aveste la prontezza di catapultarvi dall’altra parte dell’oceano, per un viaggio, per lavoro, per cercare voi stessi nell’interminabile cammino verso la felicità e la bellezza assoluta, mi permetto di invitarvi nel cuore dell’America Latina: la Bolivia. In questa terra, chiamata Pachamama, il corso della storia e la potenza della natura han scolpito paesaggi e culture che Resistono contro il logorante e meschino “avanzare” del mondo.
Qui, il tempo e lo spazio sembrano essersi fermati. Nell’intento di riposarsi riprendendo fiato dopo un’interminabile salita, aspettano l’arrivo di gente con sete di conoscere, per soddisfarli e raccontare loro tutto quello che si può apprendere, ascoltando il passare del vento tra le rocce o scambiando due parole in Aymara mentre una cholita, ballando con le sue gonne colorate e multistrato, si serve una tazza di matè di coca.
Il contatto con la terra e con le proprie tradizioni è qualcosa di vitale importanza. Non si scherza mica. E se vi sentite attratti da queste facce consumate, ma felici, o volete evitare tutto ciò che è antropomorfo perdendo gli occhi nel cielo infinito color zaffiro, non vi resta che prendere uno zaino e iniziare ad entrare dentro questo mondo fatato, pieno di bellezze.
Qui, nelle terre andine, la bellezza la vivo ogni giorno. Riesco ad apprezzare ogni singolo gesto di una persona, ogni sorriso di un bambino, ogni tramonto che irradia le montagne, ogni salita che dimezza il fiato, ogni profumo di maiale grigliato che esce dalle tienditas. E’ qualcosa che ti prende senza il tuo permesso, non hai scampo, ti contagia
La bellezza, però, da oggettiva e universale, trova anche il suo angolo e la sua sfumatura più individuale, personale, soggettiva.
Io l’ho ritrovata in questo pezzetto di terra rimasto a mollo nel lago più alto e magico di tutta la terra: il lago Titikaka. Questo specchio blu, è stato la culla che ha visto nascere diverse culture e poi civiltà, tra tutte la civiltà di Tiwanaku antenata di quello che poi diventerà il glorioso impero Inca. L’aria che si respira e il sole così vicino ci trasmettono un’energia che ti entra dentro e ti trasporta in un attimo in tempi di capanne, pesca, rituali, spiritualità, calore umano, contatto con la natura e fiducia nell’altro. Tempi in cui era tutto da scoprire e nulla si dava per scontato.
Al giorno d’oggi bastano un po’ di pesos boliviani per acquistare un tragitto in un battello e poter visitare le sue isole madri, ma pensare alla bellezza di doversi costruire una zattera e viaggiare quasi un giorno intero per raggiungere la terra ferma dove poter scambiare qualche materia prima, informarsi sulla vita al di là delle acque limpide del lago, mi affascina e mi inonda di una nostalgia mai provata.
A poche onde di distanza dall’isola principale, Isla del Sol, soggetta ogni anno a ondate di turisti con annessa macchina fotografica, si incontra la Isla de la Luna, la sorella minore, più piccola e selvaggia.
Qui ho incontrato una Bellezza-che-resiste.
Una bellezza formata da una ventina di famiglie, poco più di una sessantina di persone che, isolate dal mondo a noi conosciuto, continuano a onorare la vita per la sua essenza primitiva. Non esiste l’elettricità, non si incontra l’acqua corrente, non esiste mercato che non sia al di fuori della vita isolana fatta di pesca, legna ardente per combattere il freddo invernale, ingegnose strutture che utilizzano l’acqua piovana o del lago per irrigare i campi e dar forza al proseguire dell’uomo in una terra non sua. Ospite.
Anche qui, purtroppo, la macchina dell’uomo capitale ha posto i suoi ingranaggi. Infatti, per poter vivere quest’isola bisogna munirsi di biglietto turistico e pagare l’entrata per una visita di una quarantina di minuti. Quaranta minuti che possono durare un’eternità.
Ci si accorge di quanto, in fondo, sia molto più facile vivere in una dimensione così intima e dove l’essenziale si apre agli occhi mostrando la vera forza della comunità e della condivisione tra l’uomo resistendo in silenzio e senza la pretesa di un riconoscimento di massa, alla frenesia e al tutto-e-subito dell’uomo moderno per supposto libero dalle catene che lo legano al mondo terrestre, ma incatenato da sé stesso e dal suo ego.
Qui, la bellezza, si incontra così com’è. Senza filtri, senza canoni, senza le masse, senza le forzature e i concetti astratti.
Qui, la bellezza è aria, acqua, fuoco e terra.
Qui, la bellezza, insieme al sudore, fuoriesce dai pori nella pelle degli isolani mentre sistemano un’abitazione o coltivano fave.
Qui, la bellezza si annusa al passare di un lama o di una pecora al pascolo, o dal profumo di trucha fresca, appena pescata e già addormentata in un piatto condiviso in famiglia.
Qui, la bellezza ti sorride senza chiedere nulla in cambio, ti racconta la sua vita o ti ascolta se hai qualcosa da dire.
Qui, resiste la natura coltivata dalla bellezza dell’uomo