Ieri sera il Decreto Sicurezza Bis, approdato per il voto al Senato, è diventato legge. A votare a favore anche i senatori pentastellati, nonostante per giorni si sia soffiato sul vento di una possibile lacerazione del governo proprio su un “tradimento” da parte dell’alleato a proposito della legge fortemente voluta da Matteo Salvini. Il Dl Sicurezza Bis passa con 160 sì, anche contro qualche previsione politica che aveva visto nel M5S, e in particolare nelle sue frange più “sinistre” e insofferenti rispetto alla linea Di Maio – un possibile argine all’infame decreto. E invece sono solo 5 i “dissidenti” del Movimento che hanno deciso di non votare la fiducia e che al momento del voto non si sono presentati.
Verrebbe da chiedersi come il Movimento fondato da Grillo e Casaleggio intenda portare avanti le sue posizioni No-Tav – per quanto siamo già in odore di dietro-front, l’ennesimo, anche su questo punto – e di pari passo dormire sonni tranquilli dopo aver dato la propria fiducia ad una legge che di fatto apre scenari inquietanti in materia di ordine pubblico e gestione del dissenso. Un Decreto che sembra voluto ad hoc non solo per la questione ONG e migranti, ma anche per la lotta No-Tav e in generale per limitare ogni tentativo di contestazione dal basso.
Più poteri alle forze dell’ordine (in un Paese, lo ricordiamo, in cui manca ancora una legge sull’obbligo di codice identificativo delle stesse), criminalizzazione delle operazioni di salvataggio in mare e repressione del dissenso: sarà questa l’Italia post decreto, un Paese che svende ingenuamente la propria libertà in funzione di un bisogno di sicurezza e protezione edificato scrupolosamente nel tempo, instillato colpi di propaganda, allarmismi e fake news, soffiando sull’antico odio nei confronti del capro espiatorio di turno – immigrati, rom, Ong, le “zecche di sinistra”.
Un Decreto di cui molti esperti, associazioni e giuristi contestano la stessa ratio, non vedendo quei presupposti di necessità e urgenza che andrebbero a giustificarne l’opportunità e che invece sono sbandierati nel testo di legge, senza specificare quali e come, senza portare alla luce dati. E proprio da questi occorrerebbe invece ripartire e basterebbe per accorgersi dell’infondatezza dell’allarmismo evocato, a fronte di un calo dell’80% degli arrivi per mare nel nostro Paese, rispetto ai quali l’attenzione pubblica è, per altro, furbamente convogliata su pochi casi sfruttabili per la solita propaganda, mentre altrove continuano gli sbarchi sulle nostre coste, senza caos, tweet o grandi proclami. Non solo: anche le percentuali di crimini violenti sono in sensibile calo, uniformemente al trend europeo. Ergo: nessuna situazione speciale di pericolo. Eppure, nella percezione generale, viviamo in una cittadella assediata dall’esterno e minacciata dall’interno da oscure forze che complottano contro la nostra incolumità – fisica ed economica, contro il nostro patrimonio materiale ed identitario, culturale ma anche “genetico”.
Il Decreto Sicurezza Bis è un semplice specchietto per le allodole di un Ministro pigro e assenteista, che diserta tavoli di lavoro e confronto e predilige sagre, consolle e piazze in cui sembra vigere l’obbligo di applaudire come scimmie ammaestrate, replicando bacioni ai vari rosiconi alternati da preghiere ipocrite alla Vergine Maria, mentre si ripetono a pappagallo gli slogan vacui e banali con cui ci hanno ingozzato negli ultimi anni: Prima noi, poi gli altri! Ma chi sono questi altri? Una volta tolti migranti, rom, stranieri e “zecche”, chi resta? Su chi verrà consumata e agita la macchina propagandistica?
Barattiamo la libertà per una parvenza di sicurezza, senza renderci conto di come sia in effetti l’esatto opposto a imporsi: una deriva di insicurezza costante, cronica, elevata a paradigma sociale, in funzione della quale continueremo probabilmente a cedere diritti fondamentali che ci stiamo abituando a non reputare più così indispensabili, con la promessa di vederceli paternalisticamente protetti e poi restituiti quando magari i tempi saranno migliori, maturi, “sicuri”. Quando non ci saranno più stranieri, Ong o Carole varie a minacciare i nostri sacrosanti confini, quando non sentiremo più le grida e le rivendicazioni di chi ancora ha il coraggio di opporsi allo sfacelo, la cui voce viene a disturbare le nostre comode pose perbenistiche e le illusioni con cui ci hanno nutriti ma che noi abbiamo accettato. Illusioni che ci sia qualcuno, finalmente, a lavorare per l’utopia di un paese “pacificato”, armonico, sicuro, vivibile e decoroso, al prezzo però dell’eliminazione e del contenimento repressivo di ogni conflittualità.
Ma una società senza conflitto è un’utopia distorta, l’altra faccia della paura, la prova schiacciante di un’erosione dei valori democratici che dovrebbe allarmarci, questo sì, tutti e tutte. È questa la vera emergenza. Il nostro bisogno infantile di protezione e controllo, la nostra paura di convivere con l’alterità, di affrontare la conflittualità non come pericolo per la nostra sicurezza, ma come occasione di autocritica, crescita, negoziazione di diritti, opportunità di fare, disfare e ripensare “il comune”. Insieme.
Una società che elimina il conflitto dal proprio orizzonte è una società destinata a perdere. Una società regredita – o forse sempre rimasta – ad uno stadio puerile d’inconsapevolezza e immaturità, bisognosa di direttive, ordine e rassicurazioni della voce di un padre che comanda, indirizza e dall’alto assicura protezione e sorveglia il nostro sonno.
Il problema è quando la percezione di quella perdita viene a mancare.
Il problema è quando tutto questo comincia ad andarci bene.
Dormiamo sonni tranquilli, arroccati nelle nostre case, mentre il mondo fuori brucia ma una voce rassicurante ci dice che va tutto bene, va tutto bene, ora siamo “al sicuro”. Senza più frastuono, senza più rumore a interrompere l’idillio.
Sarà forse in quel silenzio, allora, proprio in quel silenzio lì, che riconosceremo davvero ciò che abbiamo voluto, ciò che abbiamo permesso.