Per noi di Aware, Joe Batta & i Jeko è già un nome di culto. Colonna sonora dei pomeriggi trascorsi a buttare giù idee per il giornale, la band made in Abruzzo formata da Giovanni Flamini (chitarra e voce), Daniele Di Nardo (basso) e Davide Ferrone (batteria), ha acceso di rock e freschezza ruvida il nostro primo Festival delle cose belle. Lì, immersi in un bosco tra le montagne di Passolanciano, abbiamo colto a pieno il potere dolcemente schietto della loro anima nomade, sparsa tra l’origine cantautorale e la deriva elettronica, melodie orecchiabili e versi che restano sospesi ben oltre l’ultimo accordo.
Sono passati mesi da quella serata ed oggi JBEIJ presentano il video del loro terzo singolo, Ciao Jane, scritto e diretto da Matteo De Liberato, prodotto da Andrea Trono. Anche il videoclip, che trovate qui in apertura nel nostro articolo, come il pezzo, è un delirio onirico che pesca nell’immaginario contemporaneo. Un omaggio al cinema di Tarantino, un vortice di sequenze dove tutto sembra ridursi al puro gioco delle parti, lasciandoci con il sapore di qualcosa che “non conclude” di pirandelliana memoria.
Questa sera il trio offrirà spettacolo nel locale culto della scena romana Le Mura, dando ufficialmente il benvenuto alla Jane nata dalla fantasia del front-man Giovanni Flamini durante i tempi dei baccanali universitari a Macerata. Per l’occasione lo abbiamo incontrato, scambiando quattro chiacchiere sul passato, presente e futuro della band. Ne è nata un’intervista che parla di Oasis, Dylan e della natura profondamente anarchica dell’arte.
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Ladies and gentlemen, Joe dei Joe Batta & i Jeko.
Joe, tutto è nato nella tua cameretta da fuori-sede festaiolo a Macerata, chitarra acustica Montepulciano e un quaderno dove appuntare i primi pezzi, pezzi ruvidi e impegnati, minimali negli arrangiamenti ma carichi nei testi. Ora hai una band, un album decisamente elettrico e questa sera suonate in un tempio dell’underground romano (Le Mura a San Lorenzo, ndr). Cosa è cambiato in questi anni e cosa no?
Non è cambiato niente, stessa voglia, stesso entusiasmo. Anzi, ora ne è molto di più. Prima fondamentalmente non c’era niente, solo un pugno di canzoni, chitarra e voce registrate in una radio. Non c’era un progetto dietro e anche in questo risiede l’autenticità di ciò che facciamo. Il mio primo album è Noi Odiamo Joe Batta & I Jeko. Tutto quello che è venuto prima non esiste.
L’album Noi odiamo Joe Batta & i Jeko è un collage di dimensioni diverse, quella da cantautore, quella da band, un percorso frastagliato dove si saltella tra la sperimentazione e il folk. Lo hanno definito «post-adolescenziale» e (o ma) tremendamente«franco» (Rockit). Ti ritrovi in queste etichette? E quanto l’album è il frutto di spinte diverse all’interno della band? Esiste ancora il Joe Batta cantautore degli albori?
Certo che mi ci ritrovo, però per dispetto, perché quelle etichette erano intese in senso dispregiativo. Noi siamo fieri di essere franchi e adolescenziali. Anzi, sarebbe un sogno per me rappresentare per un ragazzino quello che hanno rappresentato per me gli Oasis o gli Arctic Monkeys. L’album è un album da band. Le canzoni esistevano già ma la loro forma è stata completamente ribaltata. Tutti questi pezzi sono di Joe Batta & I Jeko, non di Joe Batta.
Su Aware tentiamo di riscoprire un valore Resistente dell’arte. Trovi che abbia ancora senso parlare di arte come resistenza ai tempi del Pagante e di Sfera Ebbasta? C’è uno spazio per l’artista “sociale”?
Secondo me utilizzare termini come “sociale” e “impegnata” accostati all’arte è una stupidaggine che fa solo danni. L’arte è libera e affibbiargli etichette la limita soltanto. Blowin In The Wind è un gran pezzo a prescindere dal fatto che è diventata un inno dei movimenti per i diritti civili. Noi casomai ci sentiamo resistenti, come voi, all’abbruttimento generale che ci circonda. C’è un’ignoranza che fa paura, soprattutto riguardo all’arte e alla cultura, e da lì poi si origina tutto. Però lungi da noi voler colorare questo sentimento di tinte politiche o di legarci all’attualità. Nei nostri testi non c’è il minimo riferimento al “qui e ora”.
Fino a qualche anno fa cantavi di rivoluzione (Carlo e la p38) e di una sorta d’anarchia intellettuale (Il ballo dell’uomo moderno). Ora non più, lasciando spazio ad una introspezione più romantica. Perché?
Carlo e la p38 era un esperimento mal riuscito e Il Ballo dell’uomo moderno è un po’ pretenziosa. In realtà non c’e stato il minimo cambiamento. Metà dei pezzi dell’album è coeva a Il Ballo e a Carlo. Semplicemente non sono mai stato un cantautore “impegnato” e mai lo sarò. O perlomeno, lo sono ma a modo mio.
Cosa aspettarsi dal nuovo album, sia in termini di contenuti che di arrangiamenti? Un ritorno al minimalismo del cantautore Joe Batta o un tratto più marcato della dimensione band?
Il nuovo album sarà più esagerato. In tutto. C’è più chitarra acustica ma l’elettrica, quando c’è, si fa sentire eccome. Di più del primo. E poi comparirà un altro strumento “inedito” per noi.
Appuntamento allora a questa sera con Joe Batta & i Jeko, a Le Mura di Roma, alle ore 22.00. [Qui l’evento FB]
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?I Joe Batta & i Jeko sono tra i protagonisti della playlist di Aware “tante belle cose” dedicata alla musica indipendente e resistente italiana ? CLICCA QUI ? per ascoltarla su Spotify!