di Sofia Di Camillo
Loreto Aprutino, contrada Ferrauto, 4 settembre 2024
Il mio sguardo si riposa fuori dalla finestra, mentre Nina bruca ogni singolo e minuto filo d’erba che incontra, senza sosta. Mi sposto dal libro che leggo al verde della campagna che vive là fuori. Mi lascio cullare dall’aria fresca che si posa con delicatezza sulla mia pelle. E il rumore dei trattori che mi riporta alla nostra amara terra. Mi fermo e sospiro.
Penso a quanto è vissuto fino a questo momento. I mesi trascorsi fuori, lontano. I sorrisi incontrati e conosciuti. Le lacrime lasciate a noi, alla pelle. La terra toccata e annusata. La danza che ci ha res3 selvagg3. L’oceano: forte e immenso. L’arte che ci ha res3 visibili.
Mi perdo nei giorni passati. Mi immergo nei vostri sorrisi e nei vostri volti, così nitidi e precisi. I nostri piedi scalzi e gli abbracci sudati vissuti da un odore che rimanda a terre lontane.
Ricordo. Ringrazio. Respiro.
Torno a quel momento, quando corsi lontana da quel boschetto. Mi spostai veloce, in cerca di un orizzonte lontano e solo dove poter approdare. Camminavo piangendo, colta da una disperazione improvvisa, prepotente, e senza saperne cosa fare. Urlavo arrabbiata, impaurita e sola. Sentivo fuoco scorrere sotto i piedi e avanzare nel mio petto. Desideravo picchiarti per avermi lasciata, senza dirmi una fottuta parola. Mi lasciai cadere a terra, abbandonata al dolore e con lo sguardo rivolto alle stelle. Era ormai buio, e nel cielo cercavo riparo. Ti cercavo. In quale lontana congiunzione astrale ti trovi? Perché te ne sei andato? Dove posso trovarti? Dove ci rincontreremo? Domande urlate al vento e bagnate da furtive lacrime.
Esausta tornai al caos, sospettosa che Mjoe e Malix, due grandi artisti congolesi, fossero riusciti a raggiungerci, pronti a strapparci alla valle e riportarci alla forte e accesa visione musicale katanghese. Ma niente, è successo di nuovo. Il consolato belga ha rifiutato nuovamente la richiesta di visto.
Bisognosa cercai due abbracci, a cui solo uno mi abbandonai. Mi rasserenò trasportandomi ai miei piedi scalzi, nudi e zozzi. La doccia fresca mi ravvivò e la serata continuò. Mi lasciai abbracciare forte dalla notte e ballai sino all’ultimo suono danzante tra le forti e vive vibrazioni dei nostri corpi. Trovai una compagna con cui ballai allo stesso ritmo, o almeno così ci raccontarono. Felici e stanche ci addormentammo dondolanti su un’amaca blu.
Il tuo corpo caldo appoggiato al mio
Il mio battito accelerato
Il nostro sguardo incantato su ombre animate
Il nostro orecchio attento e abbandonato alla dolce e cruda Primavera di Vivaldi
La tua pelle sulla mia
La tua schiena intrecciata nel mio petto
E solo un attimo dopo non c’eri più
Rincontrasi e riscoprirsi differenti nella nostra similitudine.
Riabbracciarsi. Sfuggenti e presenti. Forti e fragili.
Frammenti di pelle gentile che si prestano al tocco ravvicinato. Che si riflettono nella stessa dimensione. Calore e gelo, dentro di noi, che permettono di allargarne i confini.
Uno sguardo attento e sistematico che ci lascia asfissiati e vivi. Che crea un profondo silenzio. Che dispiega dinanzi la realtà in tutta la sua gravità.
Rincontrarsi per svelarsi. A noi, a voi, alla terra. Alla nostra amara terra.