Da quando sono di nuovo in Italia, ho sentito spesso frasi del tipo “a che serve manifestare” o “chi te lo fa fare, ci sono persone elette apposta per decidere mica cambia qualcosa se urli in strada”. Ecco, se ho imparato qualcosa nell’ultimo anno di vita tra ex guerrigliere q’echì e piccoli contadini incurviti dalla lotta contro imprese giganti è che la mobilitazione serve prima di tutto a segnare il confine tra il sopportabile e l’oltre.
Quello che sta succedendo in mare, in un fazzoletto di terra che per millenni ha fatto di questo spazio il proprio cuore pulsante, la nervatura di un sistema di diritto capace di trascendere la lettera scritta, è semplicemente oltre.
Per questo oggi pomeriggio sarò a Cutro, insieme a mamma e a migliaia di persone da tutta Italia, per manifestare contro le politiche migratorie che stanno inquinando le radici più antiche del nostro essere terra di mare, d’incontro, mescolanza.
Servirà a qualcosa? Cambieranno le leggi? Nasceranno nuove Riace? Probabilmente no. Ma questo non è importante. L’importante è segnare la linea che delimita l’umanità dal vuoto, la decenza dal baratro, la paura dalla violenza. Solo da qui si può partire per immaginare una nuova comunità in cui un cuore vale più del passaporto cucito addosso.
In Guatemala ho imparato l’importanza di difendere la propria terra pur sapendo di non avere i mezzi per farlo. Le guerrigliere q’echì giravano per settimane nelle foreste malariche con zaini sbucciati e fucili arruginiti, mettendo i loro corpi smunti tra gli elicotteri dei militari e i campi in fiamme dei contadini.
Qui, oggi, c’è da difendere l’umanità che ci rimane. Senza fucili, senza cartucce, ma con la stessa urgenza di agire per sopravvivere alla vergogna del troppo.
Ci vediamo a due passi dalle onde, per ascoltare il suono che dalla notte dei tempi ha scavato il confine tra cosa è giusto e cosa non lo è. Ci sarà il silenzio e ci saranno le onde. Basteranno loro a far sentire la voce di una umanità che aspetta solo di essere chiamata indietro.