Mi è capitato di trovarla nel mezzo della seconda nottata di festa avvolto dalle stelle del Centro Panta Rei, osservando tra le mani danzanti e gli sguardi accesi il mandala di fili e teli allestito con cura appena dietro al palco tra i salici.
Mi è capitato di trovarla nel sapore umido delle foglie appena bagnate dalla pioggerella di ferragosto, lasciando cadere le pupille sui tratti di pittura fluorescente disegnati con eleganza sulle guance soffici di una ragazza distesa nella terrazza appena di fronte al bosco.
Mi è capitato di trovarla poi cogliendo il sorriso largo di un ragazzo dallo sguardo vispo mentre lavorava senza sosta come volontario nel servizio inarrestabile della cucina.
Mi è capitato di trovarla ancora quando il violino del primo artista tra le querce di Villa Frigerj ha aperto sugli sguardi del pubblico impaziente un vortice di sensazioni capaci di cancellare in un soffio la complessità dei mille problemi tecnici raccolti fino all’istante prima.
Non saprei bene come definirla, come definire la scintilla che lega a sé questi momenti vissuti durante le giornate del Festival delle Cose Belle di Passignano sul Trasimeno e le serate di Cose Urbane a Chieti. È qualcosa di profondamente intangibile ed etereo e al tempo stesso concreto, reale e solido.
È un filo sottile fatto di cura, attenzione e vicinanza a chi è intorno; una volontà instancabile di essere parte di una sola comunità, di una casa collettiva, di un bosco di relazioni che vive della consapevolezza che unicamente attraverso il proprio contributo questo spazio possa prendere vita e incarnare il battito che ci lega insieme.
Il Festival delle Cose Belle ha tratteggiato l’orizzonte di una utopia che si fa ogni giorno più concreta. Nella bellezza senza tempo della natura del Centro Panta Rei ci siamo incontrati come una tribù, abbiamo riso, ballato, riflettuto, scambiato visioni e scontrato pensieri.
I laboratori hanno facilitato questo flusso di emozioni, permettendoci di creare l’ambiente di quiete e delicatezza necessario per spogliarci del rumore cittadino e riconoscerci come animali curiosi.
La musica carica di silenzi e ritmo ha scandito il tempo delle nostre distanze ogni attimo più sottili.
Ballare ci ha avvicinato come unica onda; ascoltare ci ha insegnato l’emozione dell’accoglienza; sfiorarci ci ha fatto sentire diversi ed eppure profondamente simili.
Tra i pioppi del Trasimeno abbiamo vissuto un flusso dirompente che ha cancellato i bordi dei singoli sguardi per restituirne uno solo in cui trovarli racchiusi tutti.
Nelle Cose Urbane poi il gorgo di momenti e parole si è fatto più profondo, cosciente, vigile. Tra le proiezioni della prima serata e la musica dal vivo della seconda, abbiamo scoperto l’anima profondamente sociale di queste arti e l’importanza di avvicinare il palco al pubblico per creare uno spazio unico di confronto e legame.
Il fil rouge è solo una scintilla intangibile e solida che ha spinto centinaia di persone provenienti da mezza Europa a farsi vicine nella consapevolezza di costruire qualcosa insieme, leggero eppure radicato nello spazio, perfettamente capace di durare ai capogiri del tempo.
Volontarə, artistə, performer e pubblico hanno fuso i propri sguardi in un solo battito, scandendo il ritmo di un modo completamente nuovo di vivere l’incontro e la relazione comunitaria.
In tempi in cui il calcolo economico si è fatto mantra della vita sociale e la catarsi collettiva è scomparsa dal vocabolario della socialità, vivere l’impegno spontaneo e gratuito di decine e decine di persone sconosciute fino al secondo prima è un fatto straordinario ed emblematico.
Nella cura mostrata componendo il mandala appena dietro al palco, nell’attenzione alle sfumature del disegno sulle guance, nel lavoro sorridente in cucina, nell’anima racchiusa tra le prime note del violino, in ognuno di questi momenti spunta fuori il volto limpido di una empatia ordinaria e semplice, protagonista di una festa divenuta grido di resistenza.
Nel nostro fare caotico e confuso, spontaneo e ritardatario, germoglia la speranza che l’umanità nata da questi momenti insieme resti aggrappata alla carne e alle pupille, facendosi spazio condiviso del quotidiano. Portare questa cura, quest’attenzione, questa empatia fuori dagli orizzonti del festival o della rassegna artistica Cose Urbane è la vera sfida che sentiamo di abbracciare. Farne un’abitudine, un sottofondo ordinario al caos urbano delle nostre vite.
Grazie a tutte le persone che hanno partecipato e prenderanno parte a questa marea di semplice, colorata, fertile umanità.
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Le foto sono di Alessia Cantò e Alessandro Ricci. Scopri tutti gli scatti del Festival delle Cose Belle cliccando a questo link. Il Festival delle Cose Belle è uno spazio libero, orizzontale e auto organizzato. Se hai contenuti media che ti piacerebbe condividere con la tribù, puoi creare all’interno del drive una cartella con il tuo nome e caricare foto e video.
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