Non siamo più in grado di leggere la contemporaneità, divenuta una permanent beta, rendendo impossibile immaginare il futuro (D’Ellena).
A disgregarsi non è solo la visione di un futuro comune (alla scala della nazione o dell’umanità intera) ma anche quella di un comune passato: si sfaldano i miti dell’origine e il sentimento di continuità storica (Anderson 1983; Balibar, Wallerstein 1988).
La memoria collettiva si frammenta in una varietà di memorie particolari e concorrenti che reinventano il passato a partire dalla sua manipolazione mediatica con messe in scena a cui spesso non si richiede neanche più di essere credibili per poter funzionare (Forty, Kuchler 1999).
Ora la parola futuro non significa più niente, e la provocazione nichilista della cultura punk si è trasformata nel senso comune della maggioranza (Franco Bifo Berardi).
Abbiamo reagito nervosamente a questo periodo storico, a questa pandemia, a questo antropocene. Questi ultimi due anni hanno accelerato una trasformazione inesorabile e reso ogni giorno sempre più preoccupante: da individui di una collettività stiamo diventando singolarità egoriferite, sospettose e inacidite, pronte a scaricare sull’altrə le proprie frustrazioni invece di chiedere aiuto o aiutare. In questo vortice di isolamento che punta dritto verso il basso, ci stiamo aggrappando con instancabile e artificioso ottimismo ai nuovi traguardi della tecnologia che crediamo essere salvifica e sinonimo di protezione, sicurezza.
Non ci stiamo, non ci staremo mai, a glorificare a priori le nuove avanguardie della tecnica che ci consentono di rimanere in contatto (?!) seppure a distanza, online. Non vogliamo la logica distratta e associativa della navigazione su internet che crea al tempo stesso una sovrapposizione di piani diversi in cui le immagini sullo schermo e quelle dell’ambiente circostante danno vita a una catena infinita di rimandi.
Qui si grida al futuro come all’epoca della digitalizzazione totale, dell’ottimizzazione, dell’efficienza e di altri termini sensazionali e scivolosi. Noi un futuro così, ci siamo dettə, non lo vogliamo. Ancora, smettiamola di accettare la sorveglianza come necessario corollario della tecnologia. Impariamo a disobbedire agli automatismi comportamentali che sostituiscono la libertà di scelta. Nessuno ci obbliga a partecipare alle società della prestazione. È importante realizzare come l’automazione non è scritta nel destino di questo pianeta, si realizza giorno per giorno anche grazie ai nostri piccoli gesti.
Esistono alternative più biologiche e organiche, come le reti comunitarie e associative che possono consentire ai cittadini di costruire le proprie reti locali dal basso, federate, invece che con soluzioni globali, riducendo l’alienazione tecnica. C’è Voglia di comunità (Bauman 2001) che si fa di volta in volta Tribù (Maffesoli, 1988), Convivialità (Illich 1973) Essere qualunque (Agamben 2001) Comunità inoperosa (Nancy 1986) Comune (Hardt, Negri 2000).
Che fare, dunque? Servono consonanza emotiva e razionalità progettuale. Serve recuperare la consapevolezza che le scelte sono ancora affare nostro. Una strada per aprire un futuro praticabile e orizzontale è scavare in ogni anfratto di questo tema così ampio durante i prossimi mesi. Lo faremo attraverso il magazine, declinando la nostra idea di futuro nelle diverse categorie che lo compongono, e attraverso la rassegna di eventi che abbiamo in programma e che coinvolgeranno, come già è stato in passato, performance artistiche, concerti, contest creativi, laboratori, tavoli di discussione.
Lo faremo ancora più spesso, in momenti diversi dell’anno, in luoghi diversi e con formule diverse, per realizzare quanto più ci riesce possibile l’intreccio di corpi a cui aspiriamo.
Futuro anteriore è il nome che abbiamo scelto. Tutto quello che ci aspettiamo non è creare alternative utopiche ma migliorare l’esistente.
Tra futuro e passato, conta il presente. Essere capaci oggi di mescolare la tradizione con il futuro, ingaggiando battaglie per l’affermazione delle più elementari forme di aggregazione. Un mare, la terra atemporale, un crocevia di genti.
C’è il tentativo di trascendere per fuggire dal tormento del mondo. Riavvicinarsi. Raccontare un modo di prefigurare e lavorare al cambiamento prima che accada. Nella precarietà del presente vogliamo affermare che sì, esistono futuri ecologici critici e liberi.
Immaginare ora il futuro da un futuro ancora più lontano, come una memoria. Sarai stato felice del tuo 2021? Avrai amato abbastanza? Noi ci auguriamo di sì. Ci vediamo lì dove si tirano le somme, capodanno è vicino.