Attivi dal 2015 nella scena emo-core italiana, I Botanici (Garrincha Dischi) saranno tra i protaganisti del Festival delle Cose Belle – Ferragosto Resistente 2021 nel Bosco Ta-Pù di Passolanciano (CH), a 1350 m s.l.m., e ci aiuteranno a liberare il nostro corpo a suon di musica, con il supporto del collettivo Aware – Bellezza Resistente e di tutte le vibrazioni che ci regalerà il festival.
Grazie anche alla scruplolosa guida di Alberto Bebo Guidetti de Lo Stato Sociale, I Botanici sono ormai divenuti negli anni i Foo Fighters italiani, quelli che ti ritrovi a cantare a squarciagola sotto la doccia chiudendo gli occhi (pur non volendolo). Negli ultimi tempi in particolare ci hanno regalato brani memorabili quali “Nottata“, estratto dal loro ultimo albiìum “Origami” (2019), il singolo “Camomilla” (2020), frutto della collaborazione con Lo Stato Sociale, o “Sfortuna“, featuring con Maggio e Tanca
Nell’attesa che le valvole degli ampli si scaldino per bene sul palco delle cose belle, noi di Aware – Bellezza Resistente abbiamo voluto conoscere più a fondo I Botanici, cercando di capire qual è l’alchimia che lega la band e in particolare qual è la loro percezione del periodo incerto che stiamo vivendo.
In questa intervista I Botanici ci hanno svelato che non hanno alcuna intenzione di farsi affondare e che hanno tanta voglia di ripartire e noi, di rimando, non vediamo l’ora di ripartire insieme tra i faggi.
Da dizionario i botanici sono gli studiosi della botanica, ossia il “ramo delle scienze naturali che studia la morfologia, la fisiologia e la sistematica degli organismi vegetali”. Da band, I Botanici come si definiscono?
Le definizioni non fanno per noi. Siamo una band a cui piace fare musica, e che non si identifica in un genere ben preciso.
Su Rockit hanno scritto in merito al vostro ultimo album Origami “Un disco che fa della concretezza la sua arma migliore“. Vi ci trovate in questa descrizione? Perché?
Un po’ si. Origami è un disco senza velleità da classifica, aldilà di qualche pezzo che può essere accettato con la canonica definizione di “singolo”, è un disco che non cerca di piacere a tutti i costi. C’abbiamo messo dentro un po’ tutto quello che ci rappresenta e rappresentava e abbiamo parlato di quello che ci spaventa, delle delusioni, ciò di cui sentivamo di voler parlare. Per cui si, alla fine è un disco che (aldilà della riuscita o meno) si è slegato da quel filone già allora in decomposizione dell’ “indie” e che non prova ad essere null’altro se non se stesso. Un disco vero nel bene e nel male.
Come nasce, si sviluppa e termina il vostro processo creativo? In particolare, in che percentuale media ogni componente del gruppo contribuisce alla realizzazione di ogni canzone?
Il processo varia di canzone in canzone: per la parte strumentale moltissimo fa Antonio, che propone brani praticamente già pronti o arrangia le bozze di Gianmarco. Essendo le chitarre strumenti completi è più facile che la musica venga da loro due. Gaspare e Stefano partecipano proattivamente alla fase compositiva, con groove, giri di basso o semplici consigli. I testi invece li scriviamo tutti, ma non tutti insieme. Ognuno sceglie il brano che sente di più e ci lavora. In altri casi i testi sono l’idea di canzone e quindi si parte da un provino di voce. E’ un processo variabile.
In una recente intervista descrivete la canzone Origami come: “un brano scritto in un momento felice pensando all’eventualità di un futuro catastrofico”. Pensate che questo “futuro catastrofico” sia già arrivato o ci sia ancora da aspettare? In caso, cosa può salvarci?
Possiamo dire che, non a caso, Origami da il titolo al disco. Durante il suo processo di scrittura, ovviamente, non ci riferivamo al momento difficile che poi avremmo affrontato di lì a poco. La vita, si sa, alterna periodi alti, a periodi molto bassi. Stava per iniziare un periodo difficile. Non lo sapevamo, ma lo stavamo aspettando.
Nel vostro singolo Nottata dite “Lasciatemi scappare in un paradiso tropicale per ricominciare”. Tuttavia, se le restrizioni governative non vi permettessero di scappare e foste costretti a rimanere tutti dove siete adesso, come affrontereste la realtà? Esiste un paradiso tropicale possibile dove siamo adesso?
Il “paradiso tropicale” è un’immagine allegorica. Questo può essere ovunque e può essere un luogo, una nuova conoscenza, un risultato ottenuto. La verità è che il paradiso tropicale ci si augura di avercelo in testa.
Premettendo che “ogne scarrafone è bell’ a mamma soja”, esiste un brano nel vostro repertorio che vi piace sensibilmente meno degli altri o che avreste voluto arrangiare in maniera differente? In caso affermativo, quale e perché?
Credo che “Colazione” sia un brano che, col senno di poi, avremmo potuto lavorare meglio, soprattutto per il testo. Voleva essere un brano scanzonato ma si è poi ritrovata in un contesto che non la esalta. I rimorsi, se cerchiamo bene, ci sono su tutti i brani: qualche parolina, qualche nota. O forse è solo l’eterna insoddisfazione umana. Fortunatamente, invece, in tanti hanno apprezzato i brani per quello che sono, e di cui comunque siamo contentissimi!
Presto ci farete compagnia al nostro festival di Ferragosto nel verde ad alta quota di Passolanciano. Dobbiamo aspettarci una performance bucolica con gli scoiattoli che danzano o ci insegnerete che pure i faggi possono cantare in screaming?
Non verremo a fare un live in “acustico”, nonostante i posti a sedere.
Non vediamo l’ora di scatenarci insieme.
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